Processo Mazzotti, battaglia sugli atti persi

Corte d’Assise Udienze al via, le difese: «Documenti del passato scomparsi». I giudici: «Ininfluente»

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Sarà passato anche mezzo secolo, ma la solennità del momento la si respira tutta. Poco dopo le 13 di oggi - mercoledì 25 settembre - ha preso il via il processo a carico dei presunti mandanti ed esecutori materiali del sequestro e dell’omicidio di Cristina Mazzotti, rapita nella notte tra il 30 giugno e l’1 luglio di 49 anni fa a Eupilio. Una prima udienza, davanti alla Corte d’Assise di Como, che si è aperta con le inevitabili schermaglie procedurali, che raccontano però molto di che tipo di processo si andrà a celebrare.

A dar fuoco alle polveri l’avvocato Ermanno Gorpia, uno dei difensori di Giuseppe Calabrò, indicato come ideatore - oltre che esecutore materiale - del sequestro di Cristina. A processo con lui Antonio Talia, 69 anni (entrambi erano presenti in aula, Giuseppe Morabito, 80 anni, e Demetrio Latella, 70 anni.

Il legale di Calabrò ha chiesto la nullità dell’avviso di chiusura delle indagini. Tradotto: ha di fatto sollecitato che il fascicolo tornasse dritto in Procura con la conseguenza di una nuova indagine preliminare e nuova attesa per una eventuale Corte d’Assise. Il motivo? «I diritti della difesa sono stati compressi». Questo perché dal fascicolo originario, quello del 1975 sfociato in un processo che ha portato a tredici condanne a carico di carcerieri, telefonisti, ricettatori del riscatto, sono spariti centinaia di atti.

«Parliamo di un fascicolo parecchio datato - ha argomentato - in ordine al quale siamo sicuri che mancano atti di indagine assolutamente indispensabili ai fini della ricostruzione della verità e ai fini del vaglio della genuinità delle prove». È emerso che «tutti gli atti di indagine e dell’istruzione, e anche quelli dibattimentali si trovavano in possesso del Procuratore di Novara dell’epoca». A casa del quale, in effetti, sono stati recuperati i documenti dell’inchiesta, anche se dagli stessi è scomparso un faldone.

Como: Processo Cristina Mazzotti, le parole del pubblico ministero Cecilia Vassena. Video di Fabrizio Cusa

Il processo va avanti

«Non viviamo in un mondo perfetto, né nel paese delle favole - ha replicato Cecilia Vassena, il pubblico ministero della Procura antimafia di Milano - La realtà di tutti i giorni è molto lontana, spesso, dall’idea di perfezione. Mi riferisco agli atti persi. Per fortuna oggi, grazie anche alla digitalizzazione, è cambiato molto. È vero che gli atti sono stati trovati a casa del pubblico ministero di allora e anche io mi sono stupita. Ma nessuno ha fatto finta che così non fosse avvenuto. Nessuno ha nascosto nulla alla difesa. E la prova si forma qui. Si forma in quest’aula».

Fabio Repici, l’avvocato che - con il collega Ettore Zanoni - assiste i fratelli di Cristina, chiosa: «Siccome un faldone è sparito, allora non si può fare il processo per l’omicidio di Cristina Mazzotti? È una logica che non trova residenza nel nostro ordinamento giuridico». Alla fine la Corte ha respinto l’eccezione, questo processo s’ha da fare: «L’assenza del faldone è neutro - è la decisione dei giudici - nessuno ha potuto giovarsi del suo contenuto» né accusa né avvocati difensori e dunque «nessuna violazione alla difesa si è creata». Si entra nel vivo. Lo si farà dal 16 ottobre, quando è fissata la prossima udienza.

In una pausa del processo Maurizio Antoniazzi, l’avvocato di Demetrio Latella, l’uomo che ha lasciato l’impronta digitale sull’auto dov’era Cristina con i suoi amici e che, nel 2007, ha confessato di aver preso parte al blitz, racconta ai cronisti presenti che il suo assistito «è turbatissimo da questa situazione» e che, in ogni caso, «ha partecipato al solo sequestro, 15 minuti poi non ha saputo più niente. Ha consegnato Cristina e alcuni giorni dopo ha ricevuto credo 15 milioni di lire». Ma quei 15 minuti tanto bastano a renderlo colpevole del sequestro di persona a scopo estorsivo che si è concluso con la morte in prigionia, e quindi con l’omicidio volontario, della diciottenne che a Eupilio veniva ogni estate con la famiglia, per divertirsi con gli amici di sempre. Che saranno chiamati in aula come testimoni, nelle prossime udienze. In un processo per fatti così datati, da essere clamorosamente ancora di attualità.

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