Il sequestro Mazzotti, prosegue il processo: «L’ultima volta che abbiamo visto Cristina»
Tribunale di Como In aula la testimonianza di chi era in auto con la giovane la sera del rapimento: «Le hanno coperto la testa con una federa e l’hanno portata via»
Cosa potrai mai ricordarti dopo quasi cinquant’anni? Quali dettagli potrai mai esserti portato dietro, dopo tutto questo tempo? Forse i volti si saranno fatti più sfocati. Meno nitidi. Alcuni particolari saranno scivolati via, attraverso le maglie dei ricordi. Ma alcune immagini ti si attaccano addosso per sempre. «Ricordi nitidi, perfettamente nitidi dopo cinquant’anni, non posso dire di averne… ma di sicuro c’è che a un certo punto hanno chiesto chi era la Cristina, lei ha fatto un passo avanti e le hanno messo una federa sulla testa».
Emanuela Luisari è l’amica che, quella notte tragica tra giugno e luglio 1975, era sull’auto con Cristina e il fidanzato di lei, Carlo Galli. Quando, all’improvviso, un commando li ferma, li porta via e fa sparire - per sempre - la diciottenne Mazzotti.
Le testimonianze
Nell’aula della Corte d’Assise i ricordi di Emanuela e Carlo hanno riportato i calendari a 49 anni fa. Una notte d’inizio estate. Una notte di sorrisi e di chiacchiere. «Ho conosciuto Cristina in prima elementare» racconta la signora Luisari. La sua voce, in pubblico, non si era mai sentita se non alla fine degli anni Settanta, durante il primo processo a Novara sul sequestro e l’omicidio di Cristina Mazzotti. Voce monocorde, aria seria, Emanuela Luisari ha ripercorso così quei tragici eventi: «Io e Cristina siamo diventate amiche alle elementari e siamo sempre state insieme, fino alla notte del rapimento. Lei aveva una casa a Eupilio e tutte le estati andavamo in vacanza insieme sia lì che da altre parti. Io dormivo a casa sua». La sera del 30 giugno: «Siamo andati a Erba al bar con altri amici e con Carlo Galli, che ci è venuto a prendere. Verso mezzanotte, non ricordo l’orario esatto, siamo tornate da Erba verso casa della Cristina».
La descrizione di Emanuela Luisari di quella notte è sovrapponibile a quella di Carlo Galli (che ha testimoniato per ore la mattina): «Poco prima di imboccare la stradina che portava alla casa della Cristina, era buio, ci sorpassa una macchina. Ci sorpassa e poi infila la stradina. Noi giriamo e ci troviamo l’auto di traverso, con il muso rivolto verso di noi, messa in modo tale da impedirci di passare. Dai lati della strada c’erano dei cespugli, da cui sono spuntate tre persone. Erano armate. Un uomo si mette sul mio lato, con la pistola, un altro dal lato di Carlo. Io avevo chiuso la sicura della portiera, ma con una pistola puntata ho aperto». I due amici vengono fatti salire sul sedile posteriore: « Quando ci hanno fatti salire dietro, Cristina è rimasta in mezzo a noi». Poi il viaggio fino ad Appiano Gentile: «Ripartiti passiamo accanto alla casa di Cristina e Carlo ha detto: “lasciatele qui, vengo io con voi”». Ma loro, i rapitori, non erano interessati all’uomo.
“Chi è Cristina?”
«Siamo arrivati in un bosco dove si sono fermati. C’era un’altra macchina. Ci hanno fatto scendere dalla Mini e hanno chiesto: “chi è la Cristina?” Lei ha detto: “Sono io”. Le hanno messo una federa in testa e l’hanno messa su un’altra auto». Tutto è avvenuto «in maniera frettolosa: ci hanno messo del cotone imbevuto di qualcosa, ci hanno legati e poi sono andati via. Ma non ci siamo addormentati. Siamo riusciti a slegarci e abbiamo iniziato a correre e a chiedere nelle case vicine se ci facevano entrare per chiedere aiuto. Fino a quando qualcuno non ha chiamato i carabinieri».
Emanuela. Carlo. Cristina. Tre nomi indelebilmente legati a uno dei più terribili fatti di cronaca nera del Comasco. Di cui, dopo 49 anni, si è tornati a parlare in un’aula di giustizia.
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