Strage di Erba, accuse a chi non c’è più. Il metodo “Iene” contro il pm

La revisione respinta I giudici di Brescia demoliscono i presunti scoop pensati per screditare gli investigatori comaschi

Mariano Fadda, per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, è stato l’emblema della correttezza al quinto piano del palazzo di giustizia comasco. Pubblico ministero irreprensibile, di lui sono rimaste memorabili le sfuriate contro chi, nella polizia giudiziaria, aveva la sventura di non segnalare ed evidenziare a sufficienza gli elementi a favore degli indagati.

Scomparso un anno fa, dopo la sua morte il suo nome è finito negli allegati della richiesta di revisione della difesa di Rosa Bazzi e Olindo Romano come possibile responsabile di una clamorosa manipolazione per puri interessi economici. Un’infamia nata per colpa di una dei tanti sedicenti scoop de “Le Iene” che, negli anni scorsi, ha trasformato un ex carabiniere, cacciato con ignominia dall’Arma dopo aver collezionato gravissime condanne - e anni di carcere - nel possibile teste a sorpresa capace di riaprire il caso di Erba.

Ecco l’incredibile tesi sostenuta - pur in presenza di “beep” per nascondere il nome di Fadda - davanti alle telecamere del programma di intrattenimento di Italia Uno, nella ricostruzione che ne fanno i giudici di Brescia (che nella sentenza hanno tacciato come «fantasiose» le accuse di dolo contro gli assassini di via Diaz). «L’ex sottoufficiale individua una serie d’irregolarità nei brogliacci delle intercettazioni mostrati dalla difesa e ricollega la circostanza al fatto di aver appreso da un poliziotto svizzero, di cui non intende fare il nome, che il pm di Como Mariano Fadda era socio di una società svizzera d’investigazioni con tale Luca Ganzetti, collegato anche alla Waylog, che si era occupata del’assemblaggio e della trascrizione delle intercettazioni e che, dunque, non avrebbe avuto problemi a far sparire delle conversazioni su richiesta di Fadda, che,con altri magistrati collusi, imponeva di appaltare tutte le indagini tecniche alla Waylog».

Affermazioni calunniose e assolutamente false, liquidate dai giudici con la freddezza imposta dagli atti giudiziari: «presunte rivelazioni» che «sono quanto di più generico» e pure «smentite», al di là «dell’estrema vaghezza», dai fatti.

«Non emerge - si legge in sentenza - alcun elemento di sospetto in merito alla correttezza dell’operato della Procura di Como e l’ipotesi di una soppressione di conversazioni rilevanti da parte dei Pubblici Ministeri in complotto con la Waylog è del tutto artificiosa, tanto più ove si consideri che le operazioni d’intercettazione» sono state eseguite da un’altra società. Accuse false per corroborare tesi prive di sostanza, in quel metodo “Iene” che ha visto finire sul banco degli imputati mediatici persone perbene. Qual era, per tutti, Mariano Fadda.

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