Tragedia di Asso, il brigadiere ha aspettato il comandante per tendergli un agguato. L’ombra della premeditazione
L’indagine Non un gesto legato alle circostanze o al caso, ma premeditato. Il brigadiere Milia sapeva che il suo superiore stava salendo nell’alloggio
Il sospetto, agghiacciante, che per ora è solo una delle ipotesi sul tavolo che dovrà essere riscontrata nel corso delle indagini che ora sono passate a pieno carico alla Procura Militare di Verona, è che il brigadiere Antonio Millia possa aver aspettato il suo comandante per ucciderlo. Alcuni elementi, nemmeno pochi, si starebbero aggiungendo per suffragare questa ricostruzione che sarebbe la più spietata possibile. Già ieri avevamo riferito di quel colpo improvviso, al petto, esploso senza un litigio, senza parlarsi, preceduto solo da quel «ma cosa fai?» pronunciato dal luogotenente Doriano Furceri al suo sottoposto un attimo prima che esplodesse il primo dei tre proiettili calibro 9 della pistola d’ordinanza.
Ma ora, con la ricostruzione che si fa sempre più precisa, dopo aver ascoltato anche il racconto del piantone che è stato l’ultimo a vedere in vita il comandante della stazione di Asso prima di Milia, il quadro si fa sempre più nitido e porta a mettere sul tavolo, tra le altre ipotesi, anche quella che porta a ritenere che il brigadiere fosse pronto a colpire, facendosi trovare nel punto in cui sapeva che il luogotenente Furceri sarebbe passato. Ovvero lungo il tragitto che porta agli alloggi delle famiglie dei militari.
Ed allora torniamo con la mente alle 17 di giovedì, all’interno della caserma dei carabinieri di Asso. Il comandante è nel suo ufficio e ha appena terminato le incombenze. Uscendo dall’ufficio stesso, girando verso destra, si accede alla porta che conduce agli appartamenti. Una porta che i testimoni descrivono come estremamente rumorosa, impossibile da non udire se aperta o chiusa. E nessun rumore si era udito fino a quel momento. Il comandante tuttavia non svolta a destra ma a sinistra. Deve andare a salutare il suo appuntato che è nella guardiola. Qualche passo, le battute, poi il saluto: «Salgo negli alloggi». È convinto di essere solo in caserma con il piantone. Nessuno era entrato dalla porta, nessuno era sceso dalle camere, all’apparenza.
Quando torna verso la porta che conduce al proprio appartamento, dove si trovano la moglie e i figli ad aspettarlo, compare all’improvviso Milia. A chi lo interrogava avrebbe riferito di essere sceso per verificare perché il suo telefono non funzionasse, trovandosi all’improvviso di fronte al comandante. Rimane anomalo che – seppur in ferie – il brigadiere fosse armato all’interno della caserma. Quello che capita in quei pochi secondo nessuno può saperlo, se non Milia stesso. Poco dopo tuttavia il brigadiere mira al petto e spara il primo colpo calibro nove.
Una dinamica, quella appena riferita, che se dovesse essere confermata anche dalla ricostruzione ora affidata alla procura militare di Verona, lascerebbe aperta la strada anche alla ipotesi peggiore, quella che il brigadiere stesse aspettando il proprio comandante, in un punto in cui sapeva che alle 17 sarebbe passato dopo aver finito il lavoro. Il piantone non avrebbe riferito di litigi, di urla precedenti, bensì solo di un botto, lo sparo. Per questo sarebbe uscito di corsa per vedere quello che stava accadendo. Udendo poi altri due colpi contro il comandante già steso a terra.
Il militare avrebbe fatto in tempo a dire «Antonio, Antonio... ma cosa hai fatto». Poi si sarebbe trovato puntato contro non solo la pistola ma anche gli occhi di Milia. E questi ultimi sarebbero rimasti impressi nelle parole dell’appuntato nel suo racconto fatto agli inquirenti. Occhi che erano anche una porta verso l’ignoto. Un buco in cui si poteva precipitare ma non risalire.
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