Truffa da 14 milioni di euro: tra gli arrestati anche il fratello di un magistrato
Guardia di Finanza Scoperto un castello di carte per frodare lo Stato. Sette in carcere e sette ai domiciliari: l’indagine partita da Como
Alle prime luci dell’alba le Fiamme Gialle del Comando Provinciale di Como hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone di cui 7 in carcere, 7 ai domiciliari e 5 sottoposti all’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nell’ambito dell’indagine denominata “Casa di carta” che ha riguardato un’associazione a delinquere dedita alle frodi ai danni dello Stato.
Le indagini hanno avuto inizio nel 2023 a seguito dell’approfondimento di alcune operazioni finanziarie ritenute sospette poste in essere dagli amministratori di una società monzese, già coinvolti in procedimenti penali per condotte fallimentari e truffaldine.
Le investigazioni hanno rivelato come la società fosse effettivamente alla mercè di un vero e proprio sodalizio criminale dedito alla commissione di reati fallimentari, frodi fiscali e truffe.
Attraverso analisi sui bilanci societari, sui conti correnti nonché attività di intercettazioni telefoniche e presso i luoghi ove si svolgevano gli incontri “d’affari” del sodalizio, i finanziari del Nucleo di polizia economico finanziario di Como hanno ricostruito il modus operandi ideato per ottenere dagli Istituti di credito finanziamenti garantiti dallo Stato attraverso il Fondo di garanzia gestito da Mediocredito Centrale S.p.A.
In sintesi, i sospettati individuavano delle società attraverso cui chiedere il finanziamento, privilegiando quelle costituite da qualche anno che non avessero subito dei controlli dal fisco. Si trattava di aziende attive prevalentemente nei settori del commercio all’ingrosso di polimeri, carta, cartone e delle apparecchiature informatiche; quindi acquistavano delle quote attraverso prestanomi di fiducia; falsificavano i bilanci, grazie all’apporto di un professionista che alterava i dati contabili e di bilancio facendo figurare una falsa ricapitalizzazione mediante aumenti del capitale sociale del tutto inventati, in modo che l’azienda potesse apparire solida e in grado di restituire il finanziamento che sarebbe stato chiesto alle banche.
Dopo questo maquillage contabile, la società di turno era pronta per presentare la domanda di finanziamento garantito, nella misura dell’80%, a Banca Progetto con la complicità di un’agenzia finanziaria che lavorava nella città di Brescia in regime monomandatario e che si occupava di istruire la pratica in modo da agevolare la successiva istruttoria della Banca incassando, per questa intermediazione illecita, una percentuale sugli importi erogati.
In questa fase Banca Progetto, oltre agli adempimenti burocratici, poteva decidere di inviare presso le sedi aziendali propri funzionari per effettuare anche sopralluoghi e ispezioni. In tali casi, il sodalizio organizzava vere e proprie messe in scena provvedendo, ad esempio, a tinteggiare il cancello del capannone affittato per l’occasione, posizionarvi una targa con il nome, portare sul posto dei macchinari e arruolare falsi operai da presentare quali dipendenti dell’azienda. Il capo del sodalizio e il suo braccio destro definivano questa attività di falsa rappresentazione quale vero e proprio “cinema” da creare a beneficio degli eventuali funzionari ispettori.
All’esito dell’istruttoria la pratica di finanziamento veniva presentata dalla Banca a Mediocredito Centrale S.p.A. che deliberava l’ammissione alla garanzia pubblica, consentendo così all’Istituto di credito l’erogazione della somma richiesta, accreditandola sui conti correnti delle società in mano al sodalizio.
Immediatamente dopo l’accredito, la provvista ottenuta veniva impiegata in minima parte per pagare i costi “fissi” (ad esempio le rate di precedenti finanziamenti erogati ad altre società fantoccio che bisognava onorare per non far saltare anzitempo le truffe in corso, sulla falsa riga dello schema Ponzi), mentre la maggior parte era spesa per esigenze personali (quali l’acquisto di autovetture di grossa cilindrata e camper) o drenata con varie modalità.
In particolare, il denaro era prelevato in contanti e movimentato a mezzo di “spalloni” oppure bonificato sui conti correnti intestati: ai sodali o ai loro prestanomi; a società italiane (prevalentemente ditte cinesi ma con conti in Danimarca, Belgio e Germania riconducibili agli associati) ed estere (ubicate in Repubblica Ceca) a pagamento di operazioni commerciali simulate, coperte da false fatture.
Tra le persone arrestate il presunto responsabile dell’associazione per delinquere, il lecchese Ernesto Cipolla (di Valmadrera), il commercialista lecchese Michele Migliore e l’agente monomandatario di Banca Progetto per la provincia di Brescia e la zona del Monzese Marco Savio, fratello del magistrato antimafia Paolo Savio (quest’ultimo, ovviamente, del tutto estraneo non solo alle contestazioni ma anche all’intera vicenda). Ai domiciliari anche un comasco di Merone, accusato di riciclato parte del denaro provento della presunta truffa.
Il Tribunale ha anche disposto il sequestro preventivo di 13,8milioni di euro quale profitto dei reati contestati.
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