Bazzi e Romano sono gli assassini: niente revisione

La sentenza La Corte d’Appello non riapre il caso e salgono a 24 i giudici certi della loro colpevolezza

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Poco meno di cinque ore. Tanto è servito ai tre giudici della corte d’Appello di Brescia per dire no alla riapertura del processo per la strage di Erba. Un no netto, secco, chiaro: nelle istanze della difesa e nelle suggestioni dei programmi tv innocentisti non c’è alcun elemento che possa ribaltare le sentenze di condanna che hanno concluso tutte unanimamente. Gli assassini di via Diaz, gli autori della strage costata la vita a un bambino di due anni, a tre donne e che ha ridotto un uomo in fin di vita, sono loro: Olindo Romano da Albaredo per San Marco e Rosa Bazzi da Erba.

Respinta la richiesta di revisione relativa sulla strage di Erba: la lettura della sentenza. Video

Inammissibile

Sono le 14.56 quando il presidente della seconda sezione della Corte d’Appello di Brescia, Antonio Minervini, entra in aula, appoggia gli occhiali da vista sulla fronte, lancia uno sguardo agli avvocati e ai condannati in gabbia e declama: «In nome del popolo italiano visto l’articolo 634 cpp dichiara inammissibile l’istanza di revisione della sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Milano».

Alla lettura della sentenza i due coniugi sono in piedi, uno accanto all’altro ma non vicini. Olindo Romano, camicia sportiva azzurra e rosa polo verde e maglione sulle spalle, rimane impassibile. Lo sguardo perso a fissare la corte. Rosa Bazzi, occhiali da vista e rossetto scuro, tradisce invece qualche emozione in più. Poche lacrime, di fronte all’ennesima speranza infranta di vedere stravolta quella verità che lei stessa, con il marito, ha raccontato fin nei minimi dettagli nella sua confessione.

A Brescia c’è meno gente del solito. Nel processo del paradosso, quello nel quale la stampa - a cui si devono queste udienze bresciane, altrimenti difficilmente ipotizzabili - viene tenuta in uno stanzone nei sotterranei del palazzo di giustizia ben lontana dall’aula delle udienze e dagli imputati, in cui i pronunciamenti tutti a senso unico contro i condannati finiscono per alimentare i peggiori complottismi, succede pure che la giornata più importante, quella della decisione finale, venga sostanzialmente disertata sia dal pubblico sia da molti giornalisti. Decisamente meno numerosa del previsto la presenza degli organi di informazione.

L’udienza comincia in ritardo, causa il traffico che ha fatto tardare uno dei giudici della corte. Poco dopo le 10 si inizia ed è già colpo di scena. Perché, con una mossa accuratamente studiata che sa quasi di strategia scacchista, il procuratore generale Guido Rispoli annuncia che non intende fare repliche all’arringa degli avvocati difensori. «Abbiamo deciso di non replicare, non tanto perché non ci siano motivi per farlo, ma abbiamo ritenuto che a quattro mesi di distanza dall’inizio di queste udienze sia giunto il momento di dare la parola ai giudici» spiega in apertura di udienza. E poi ribadisce: «Siamo certi che voi - riferito ai giudici - in questi mesi abbiate letto i documenti, e sarebbe anche irrispettoso tornare sulla questione. Concludiamo solo chiedendo che ci sia una dichiarazione di inammissibilità». E così avverrà.

La mossa della Procura generale

La mossa della Procura generale è stata condivisa sia dal legali della famiglia Castagna, Massimo Campa presente in aula con la collega di studio Daniela Spandri, sia dal professionista che assiste i fratelli Frigerio, l’avvocato Adamo De Rinaldis, presente con il collega di studio Andrea De Rinaldis. Una mossa da scacchisti, si diceva, perché così facendo è stata tolta ogni possibilità di contro repliche da parte dei difensori. Consentendo ai giudici di entrare in camera di consiglio già alle 10.15.

Nella pausa, in attesa del rientro della corte, l’avvocato Fabio Schembri, uno dei legali dei coniugi Romano, aveva auspicato l’accoglimento da parte dei giudici quantomeno della ricostruzione alternativa sull’aggressione a Valeria Cherubini, che per la difesa è stata uccisa e aggredita in casa sua con questo rendendo impossibile che a commettere il delitto potessero essere i vicini di casa. E invece, niente.

Così, alla fine dell’udienza fuori dal palazzo di giustizia, già annuncia il ricorso in Cassazione: «Le sentenze si emettono quando si celebrano i processi, qui le prove nuove non sono state ammesse però c’è una sentenza. Questo tecnicamente significa tante cose, tra le quali noi vogliamo che venga celebrato un processo. La corte d’Appello evidentemente è ritornata sui suoi passi, alla fine, e ha ritenuto di emettere una sentenza di inammissibilità. Immagino che Rosa Bazzi e Olindo Romano non abbiano preso la decisione con contentezza. Anche da parte nostra ovviamente c’è amarezza, dopo tanti anni di lavoro».

I giudici si sono presi 90 giorni per il deposito delle motivazioni della sentenza e solo dopo questo passaggio la difesa potrà fare appello.

Una cosa è certa: con ieri salgono a 24 i giudici convinti tutti della stessa cosa. La strage di Erba ha due colpevoli. E sono in carcere dall’8 gennaio 2007.

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