Caso commercialisti, che pasticcio: undici prosciolti e un assolto

Il processo Tutto prescritto, ma erano finiti in aula per una data sbagliata. E dalla sentenza emergono anche dubbi sullo stesso reato di corruzione

Il pasticcio è servito. E poco importa che i diretti protagonisti - loro malgrado - abbiano accolto la correzione di rotta con sollievo. In quell’aula di Tribunale, infatti, non sarebbero mai dovuti entrare ed è stato ingiusto portarceli. Era nell’aria, ed è successo. Più della metà degli imputati dell’ultimo scampolo della cosiddetta tangentopoli del fisco sono usciti di scena, ieri mattina. A processo ancora in corso, i giudici hanno dovuto prendere atto che molti dei presunti reati contestati loro erano prescritti. Alcuni anche da quasi cinque anni. Così ben prima della fine del dibattimento, fatto tutt’altro che frequente, la Corte ha emesso una sentenza nella quale proscioglie ben 11 imputati e ne assolve un dodicesimo, sui venti complessivi rinviati a giudizio.

La vicenda è figlia dello scandalo - quello sì, reale - delle tangenti pagate dallo studio Pennestrì all’ex direttore dell’Agenzia delle entrate Roberto Leoni e all’ex responsabile dell’ufficio legale Stefano La Verde per aggiustare le pratiche di alcuni dei clienti degli allora commercialisti di via Auguadri. Nel corso delle indagini erano emersi i rapporti tra un altro dipendente dell’Agenzia delle entrate e diversi commercialisti per curare delle pratiche di successione. Secondo la Procura quegli emolumenti erano, a tutti gli effetti, tangenti. Non la pensano così i difensori e i diretti interessati (ci arriveremo), ma prima ancora che poterne discutere nel merito all’apertura del processo era emerso un retroscena per certi versi clamoroso. Infatti a tutti gli imputati si è contestato di aver commesso il reato «fino al 2020». Ma già il primo testimone, un sottufficiale della Finanza, aveva spiegato che il dipendente finito sotto accusa (Roberto Colombo, per la cronaca) aveva ammesso di aver ricevuto compensi - ad esempio - nel marzo 2014. O prima ancora. I giudici hanno sgranato gli occhi, perché l’eventuale reato, essendo passati dieci anni, era da considerarsi prescritto. E infatti ieri Giorgio Arnaboldi, Attilio Borsani, Valter Corti, Alessandra Faverio, Franco Ferrari, Vincenzo Ferraro, Giovanni Fontana, Pierantonio Frigerio, Renzo Guffanti, Donato Iacovazzi e Bruno Meroni sono stati tutti prosciolti per prescrizione del reato.

Assolto, invece, un altro dipendente del fisco, Patrik Orlando. Perché è emerso che i rapporti per il quale è stato tirato in ballo dal collega avrebbero riguardato istanze di voluntary disclosure «attività che non rientra tra quelle tipiche dell’ufficio di appartenenza» dello stesso Orlando.

La conclusione dei giudici apre a ciò che sostengono i difensori, ovvero che la redazione della dichiarazione di successione chieste (si presume) dietro compenso dai commercialisti, non rientravano tra i compiti del funzionario, ancorché per il suo lavoro riceveva compensi in nero. Di conseguenza nessuna corruzione. Il processo continua per gli altri imputati. Ma, forse, il finale è già scritto.

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