L’artista è la sua opera. Tutto il resto della vita pubblica e privata è totalmente irrilevante. Non conta nulla. Qualche giorno fa, quando i più clamorosi tromboni del giornalismo nazionale, corredati dai più pregiati e fumanti tagli del carrello dei bolliti dell’opinionismo e quindi del moralismo e quindi del conformismo sempre nazionale, ovviamente, hanno iniziato a orchestrare una ridicola campagna di stampa contro Jannik Sinner, reo di aver stabilito la sua residenza fiscale a Montecarlo, abbiamo tutti capito che per l’ennesima volta la macchina del tartufismo della repubblica delle banane si era rimessa allegramente in moto. Un’indignazione, signora mia, ma un’indignazione indignata e indignante che indignando indigna gli indignati. Ma insomma, come può questo Sinner diventare l’orgoglio italiano se non paga le tasse in Italia? Ma come è possibile? Ma dove siamo finiti? È tutto un magna magna! Si stava meglio quando si stava peggio! Quando c’era lui, caro lei! Ma che insegnamento diamo ai nostri ragazzi, ai nostri giovani, ai nostri adolescenti? I bambini ci guardano, i bambini lo guardano, guardano l’eroe Sinner e tutti sappiamo bene quanto i bimbi siano sensibilissimi alle scelte fiscali dei campioni di tennis - praticamente non pensano ad altro… - e lui dovrebbe comportarsi come un marinaretto, come un boy scout, come un carbonaro, come un mazziniano, come un Goffredo Mameli, un Enrico Toti, un Pietro Micca e invece questo ingrato non ama il suo paese, non ama la sua nazione, non ama la sua patria, alla quale non dona né l’oro né la coppa dell’Australian Open ed è pure mezzo tedesco, anzi, diciamoci la verità, è un tedesco-crucco-austriaco fatto e finito e che tempi e che caduta di stile e che delusione e che costernazione. E tutti lì, i nostri intellettuali da terrazza, a catechizzare, a salmodiare, a confutare, a predicare, a stigmatizzare con il ditino alzato, sprigionando un tanfo di forfora e naftalina come a un’adunata di contrammiragli in pensione al circolo dei reduci di Amba Alagi. Tutto vero.
Ora, premesso che da un punto di vista tecnico la scelta di Sinner è perfettamente legale e che chiunque di noi ne avesse la possibilità sceglierebbe di certo - come direbbe Massimo Catalano… - una residenza con una tassazione molto bassa rispetto a una con una tassazione molto alta, sarebbe meglio ricordare che da quando è nato il fuoriclasse altoatesino, ventidue anni fa, si sono succedute pletore di governi di ogni tipo, genere e modello, dalla destra alla sinistra al centro ai tecnici ai gialloverdi ai giallorossi e a tutto quello che volete voi e che tutti – tutti! –, al netto delle finte risse televisive, si sono allineati allo stesso, identico e avvilente punto programmatico. Più tasse e sempre più progressive. E visto che chiunque si voti finisce sempre così - perché destra e sinistra, in questo paese di fanfaroni, sono la stessa identica cosa – allora uno subisce oppure, se può, come si dice in gergo, “vota con i piedi”. Cioè se ne va. Ripetiamo per i duri di comprendonio. In modo perfettamente legale. Perché questo non è un evasore - gente che non in Bulgaria o in Cina, ma in un paese serio come gli Stati Uniti finisce in galera –: è solo uno che sceglie di pagare tutte le sue tasse altrove.
Detto questo, da un punto di vista culturale non c’è niente di peggio che riversare sugli artisti - e i grandi sportivi, in fondo, lo sono - missioni etiche e morali che nulla hanno a che vedere con la loro professione e il loro talento. Una vera e propria patologia salottiera che vuole trasformare a tutti i costi un campione in un esempio, un simbolo, un maestro, un filosofo, un educatore, un pedagogo che insegna come comportarsi nella vita. Nulla di più sbagliato e di più ipocrita. Il fuoriclasse esiste nel compimento della sua opera. È tutto rinchiuso e concluso lì dentro: Sinner che gioca da Dio, Sinner che batte Djokovic. Tutto lì. Quello è il suo perimetro naturale e niente di quello che c’è fuori peggiora o migliora o giustifica o condanna il risultato sportivo. Maradona, per parlare di un tipo davvero poco esemplare, è Maradona. Punto. Però era scorretto, però era piagnone, però era terzomondista, però era cocainomane, però segnava i gol di mano. Tutte fesserie. Maradona “è”. E se nella vita privata fosse stato il suo esatto contrario - cioè educato, azzimato, perfettino e chierichetto – non avrebbe cambiato una virgola della sua dimensione artistica, che si concretizza solo e soltanto nel campo di pallone.
Quanti scrittorucoli di serie C, quanti poveretti da premio Strega, quanti romanzieri da sciampiste ci hanno rifilato nella storia dell’editoria solo perché rispettavano i criteri del pensiero unico à la page, del tartufismo nazionale e internazionale, della filogenesi dei pensierini a modo, quanti grotteschi polpettoni ci hanno venduto come il nuovo “Guerra e pace” solo perché l’autore era grandemente impegnato nel miglioramento della società (sì, buonanotte…) o nell’emancipazione femminile (e chissenefrega?) o nella sensibilizzazione dei diritti degli ultimi (dove siamo, a “Piazza pulita”?) o altre baggianate grazie alle quali si cerca di coprire il nulla assoluto della loro opera letteraria?
A chi importa cosa fa un genio nella vita? Quanto bene si comporti? Cosa ne pensi del riscaldamento del pianeta o del premierato forte o della seconda legge della termodinamica o della ricetta originale dell’astice alla catalana o della pace nel mondo o del bacio alla francese? A chi importa? A chi importa se Sinner sia di destra o di sinistra, se ama la famiglia queer o ha delle idee precise sulla cultura woke o sugli imbrattatori della Gioconda o sul ruolo dell’antagonista nei “Miserabili” di Victor Hugo? A chi importa dove paga le tasse? Importa solo a loro, ai tromboni di cui sopra. Importa solo a noi, farisei, filistei, sepolcri imbiancati, che visto che non abbiamo combinato nulla nella vita passiamo la nostra a dare le pagelle a quelli che ce l’hanno fatta. È triste accorgersi di essere Salieri.
@DiegoMinonzio
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