Demenze, un antidoto inaspettato: parlare almeno due lingue

L’intervista Il bilinguismo modifica il nostro cervello e può rappresentare un fattore protettivo nell’invecchiamento, ritardando fino a cinque anni le patologie neurodegenerative

L’apprendimento di più lingue modifica il nostro cervello e può rappresentare un fattore protettivo nell’invecchiamento sano e patologico. Vista la mancanza di farmaci risolutivi per patologie neurodegenerative come le demenze, l’Oms sottolinea l’importanza di focalizzarsi sulla riduzione dei fattori di rischio, o sullo sviluppo di fattori di protezione.

Uno dei possibili fattori di protezione preso in considerazione attualmente nel dibattito scientifico è proprio il bilinguismo, che agirebbe in forma protettiva attraverso meccanismi di aumento della riserva cerebrale e cognitiva. Ne abbiamo parlato con Nicola Del Maschio, ricercatore della Facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.

Dottore l’incidenza delle patologie neurodegenerative in Italia, così come in altre parti del mondo, è in aumento. E quando si parla di demenze non si può non prendere in considerazione l’aspettativa di vita.

È una considerazione essenziale. Le evidenze demografiche ci dicono che dalla metà dell’Ottocento l’età media della popolazione generale è aumentata in modo importante, parliamo di circa 2,5 anni per decade. Nel 2024 nel nostro Paese l’aspettativa di vita è di circa 83 anni, un po’ più alta nelle donne rispetto agli uomini. 150 anni fa, invece, questa aspettativa non superava i 30 anni. Questo cambiamento è legato a molti fattori, a molti successi della scienza, ma ha come effetto anche il fatto che essere più longevi porta ad un aumento dell’incidenza di malattie neurodegenerative.

Queste malattie oggi hanno un impatto importante sulla società?

Sì. La gestione di queste forme di demenza, con la principale che è la malattia di Alzheimer, ha conseguenze socioeconomiche importanti sia per le famiglie che per il sistema. In Italia, dove vengono diagnosticati circa 70mila nuovi casi di Alzheimer l’anno, i costi per la gestione di pazienti superano i 10 miliardi di euro all’anno. Circa l’80% dei costi diretti e indiretti grava sulle famiglie dei malati.

Oggi però non esistono ancora terapie per l’Alzheimer e per altre demenze?

Purtroppo non ci sono terapie farmacologiche efficaci per le malattie neurodegenerative dementigene. Per questa ragione ormai da anni l’Oms sottolinea, da una parte, l’importanza della riduzione dei fattori di rischio, e dall’altra lo sviluppo di fattori protettivi che possano mantenere, e in qualche caso migliorare, la salute del nostro cervello. Questo per sentirsi bene, per restare indipendenti e produttivi anche in età avanzata.

Quando si è iniziato a pensare che parlare più lingue potesse essere utile in questo senso?

Circa 15 anni fa è iniziato lo studio degli effetti del bilinguismo dal punto di vista cerebrale in età avanzata. In sostanza si è approfondito il concetto che uno dei possibili fattori di protezione per il cervello potesse essere legato all’utilizzo e al controllo di più sistemi linguistici, questo vale sia per le lingue ufficiali che per i dialetti.

Ci sarebbero altri fattori di protezione oltre al bilinguismo?

Sì, diversi studi hanno dimostrato che tra i fattori protettivi ci sono l’attività fisica aerobica, seguire un certo tipo di regime alimentare (es. dieta di tipo mediterraneo), ma anche fattori psicosociali e socioeconomici. Tutti aspetti che sono stati associati a un’espressione ridotta o ritardata di demenza.

Tornando al bilinguismo cosa si è scoperto?

Il bilinguismo è un fattore che si protrae nel tempo e che può catalizzare molti dei benefici che sono associati ad altri fattori di protezione, in particolare quelli di carattere psicosociale, in quanto il bilinguismo apre opportunità differenti. Parlare più lingue, infatti, espone ad altre culture, aiuta a viaggiare e a superare la propria zona di comfort, tutte esperienze che consentono di mantenere il cervello attivo e allenato. È noto che le persone che trascorrono una vita stimolando costantemente il proprio cervello staranno meglio in età avanzata.

Ci aiuta a capire i meccanismi cerebrali che portano a questi fattori protettivi?

Rispetto ai monolingui, i bilingui sperimentano una connessione in più tra il linguaggio e altre funzioni mentali. Lo sperimentano sotto forma di quello che in letteratura viene definito “controllo linguistico”, un insieme di processi cognitivi che consentono ai bilingui di gestire più di una lingua in modo efficiente. Questi processi, come l’attenzione, il monitoraggio di informazione conflittuale e la detezione di errori, sono funzioni fondamentali per tutti noi, ma nei bilingui – specialmente in chi passa spesso da una lingua all’altra durante una conversazione- sono “più allenati”.

In Italia però, a differenza di altri paesi, non si parlano molte lingue...

In Italia, dal punto di vista legislativo, il bilinguismo è riconosciuto ufficialmente in poche zone di confine, prevalentemente nel nord Italia. Il nostro Paese è però una terra molto ricca per quanto riguarda i dialetti e le varianti regionali. E non c’è ragione di aspettarsi che forme di bilinguismo che prevedono l’utilizzo, per esempio, di una lingua ufficiale e di un dialetto abbiano effetti qualitativamente diversi da forme di bilinguismo che prevedono l’utilizzo di due lingue ufficiali.

Ma si tratta solo di processi cognitivi o anche strutturali?

Alcuni studi hanno dimostrato che parlare più lingue non comporta solo dei benefici cognitivi ma anche cerebrali, e cioè plasmano il nostro cervello a prescindere dall’età. Questi cambiamenti si verificano sia a livello di struttura che di funzione del cervello, e riguardano in particolare i circuiti deputati al controllo delle lingue. Alcune evidenze riportate parlano di un rallentamento del processo degenerativo del cervello, posticipando anche di 4-5 anni l’insorgenza di patologie neurodegenerative.

Più studi, insomma, dimostrerebbero gli effetti positivi del parlare più lingue?

C’è ancora dibattito su questo ma le risposte positive in questo senso a oggi disponibili hanno a che fare sia con la riserva cerebrale che con la riserva cognitiva. Questi effettivi positivi, ad esempio, sarebbero legati al fatto che i bilingui, a livello strutturale, avrebbero a disposizione un substrato neurale sufficiente, dal punto di vista quantitativo, a supportare le normali funzioni cognitive. In sostanza avrebbero a disposizione una maggiore densità di materia grigia in determinate aree cerebrali, e una maggiore integrità delle connessioni fra queste aree, caratteristiche che consentirebbero ai bilingui di fronteggiare meglio la malattia e l’invecchiamenmto fisiologico.

Altre ipotesi dei ricercatori?

Il fatto che l’esperienza bilingue nel corso della vita determina una maggiore efficienza di alcuni circuiti cerebrali. Questo renderebbe i bilingui in grado di compensare gli effetti dell’invecchiamento cerebrale..

Esistono, invece, delle ricerche che smentiscono gli effetti positivi del bilinguismo?

Alcuni studi prospettici, dove i ricercatori hanno seguito soggetti anziani attraverso il tempo, hanno riscontrato che il bilinguismo non è associato a una ridotta incidenza di demenza. Altri studi ancora sostengono che i fattori responsabili delle differenze riscontrate tra monolingui e bilingui sono altri. Per esempio il livello di scolarità e lo status socio-economico, oppure il fatto di essere migrante, un’esperienza sfidante dal punto di vista cognitivo.

Ci aiuta a distinguere tra riserva cerebrale e riserva cognitiva e a riassumere gli effetti del bilinguismo?

La riserva cerebrale è un meccanismo quantitativo. Il cervello è plastico e le nostre esperienze – incluso il bilinguismo – lo modificano e lo “rafforzano”. Un cervello che ha più neuroni e più connessioni sarà potenzialmente in grado di affrontare meglio il deterioramento e la malattia.

E la riserva cognitiva?

È la nostra capacità di mantenere una funzione cognitiva anche a fronte di un danno cerebrale. Diversi studi hanno mostrato che un bilingue in età avanzata è in grado di mantenere, anche a fronte di un danno o deterioramento cerebrale simile a quello di un monolingue, una performance cognitiva migliore perché è in grado, probabilmente, di mettere in atto delle strategie di compensazione.

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