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Mercoledì 30 Ottobre 2024
Diagnosi, terapie, algoritmi: a curarci sarà un robot?
L’intervista L’intelligenza artificiale ha già fatto il suo ingresso nel mondo della medicina, ma non sostituirà il medico: «Quello che dobbiamo aspettarci è un supporto a prendere decisioni difficili»
L’intelligenza artificiale ha già fatto il suo ingresso nel mondo della medicina e nei prossimi anni sarà sempre più una risorsa per clinici e pazienti. Importante però sottolineare che questa tecnologia non andrà a sostituire il ruolo dei medici, ma sarà fondamentale che questi ultimi accolgano questa opportunità anche dal punto di vista della formazione. Ne abbiamo parlato con Matteo Della Porta, responsabile Unità Leucemie dell’Irccs Istituto Clinico Humanitas e professore di Humanitas University.
Professore si parla tanto del ruolo dell’intelligenza artificiale nel futuro della sanità ma di fatto oggi questa tecnologia è già parte del sistema salute?
L’ingresso dell’intelligenza artificiale in medicina sta già avvenendo e si proseguirà per gradi. Questo aspetto della gradualità è utile da sottolineare perché stiamo parlando proprio di sanità. Un conto, infatti, è affidare la scelta, ad esempio, di quello che va acquistato in borsa a un algoritmo, un altro conto, invece, è quando l’oggetto in questione è la salute della persona umana.
Dal suo punto di vista quali sono i vantaggi dell’Ia in medicina?
In medicina ci sono tante situazioni complesse dove la diagnosi, la scelta di un trattamento non sono così facili da affrontare nella pratica clinica da ogni singolo medico, quindi, la grossa opportunità dell’intelligenza artificiale è proprio di facilitare i medici nella gestione di situazioni complesse, che in medicina sono destinate ad aumentare.
Per quale motivo?
Non solo per quanto riguarda l’ematologia, ma in molti altri ambiti della medicina stanno aumentando i pazienti anziani in quanto si è alzata l’aspettativa di vita. La popolazione invecchia e il paziente anziano è un paziente complesso, sia perché ha tante malattie contemporaneamente, sia perché i trattamenti in un paziente anziano hanno maggiori rischi. Stiamo così evolvendo verso un sistema sanitario dove la complessità delle scelte e della gestione dei malati è esponenzialmente più grande ogni anno che passa. L’Ia ha il grosso pregio di rendere più semplice la gestione della complessità e per questo è importante vederla applicata in questi ambiti.
Molti però temono che l’algoritmo andrà a sostituire il medico?
Io penso che non ci sarà mai una sostituzione in questo senso. Quello che dobbiamo aspettarci è un supporto a prendere decisioni difficili negli ambiti già citati. L’intelligenza artificiale non ruberà il lavoro ai medici, ma penso che i medici che la utilizzeranno saranno più bravi rispetto a chi non la userà. Stiamo parlando di una tecnologia e pertanto di qualcosa di neutro. Per fare un esempio, la dinamite si può usare sia per fare le gallerie e costruire delle strade oppure per fini bellici, lo stesso vale per l’Ia, sta agli utilizzatori, la comunità clinica e scientifica in questo caso, utilizzare in modo etico questo strumento.
Possiamo tranquillizzare i lettori?
C’è molta attenzione da parte di tutte le autorità e organizzazioni che hanno in capo la gestione della sanità come cosa pubblica rispetto a questi temi per cercare di definire qual è il perimetro di utilizzo corretto dell’Ia. Non è qualcosa che avviene senza controllo. La normativa si sta adeguando a considerare questi algoritmi, o sistemi di intelligenza artificiale, come un farmaco, quindi, prima di metterli sul mercato devono esserne accertati la validità e il livello di sicurezza.
Per quanto riguarda le malattie del sangue oggi avete già delle evidenze sull’utilità dell’Ia?
Per alcune situazioni cliniche in ematologia ci sono già delle evidenze molto chiare, derivate da studi clinici molto grandi, che hanno dimostrato le cure giuste per pazienti con determinate caratteristiche. In questo contesto l’intelligenza artificiale non sarebbe molto utile, ma in ematologia ci sono anche situazioni in cui non abbiamo questi studi alle spalle che ci dicano cosa è meglio fare in quella situazione specifica.
Ci aiuta con un esempio pratico?
Una situazione tipica è la scelta del momento in cui fare un trapianto di cellule staminali in un paziente con leucemia, per alcuni può sembrare una banalità, ma in realtà si tratta di una scelta molto difficile perché il trapianto, oltre a essere utile, è anche tossico e ha un rischio di mortalità. È fondamentale identificare il momento giusto per questa procedura in ogni paziente, per massimizzare l’efficacia del trattamento e minimizzare i rischi.
L’algoritmo in questi casi sarebbe una risorsa?
Abbiamo già sviluppato un algoritmo che è in grado di elaborare tantissime informazioni che un medico non può avere a disposizione singolarmente. Il suggerimento clinico dell’algoritmo, e sottolineo la parola suggerimento, su quello che può essere il momento più opportuno per il trapianto può essere un aiuto valido. Ribadisco però che a tutto questo deve essere associata la competenza del clinico che grazie all’Ia può mettere insieme tulle le informazioni disponibili per fare poi la scelta più corretta.
Ma quando parliamo di leucemie in Italia di che numeri stiamo parlando?
I nuovi casi di leucemie in Italia sono 3/5 mila all’anno, si tratta di una malattia fortunatamente rara, ma molto severa e complessa. Per questo è utile pensare all’uso dell’intelligenza artificiale, perché non esiste una sola leucemia, ma ne esistono tantissimi tipi dal punto di vista biologico e avere uno strumento che ci aiuti a districarci in questa complessità, per poi fare le scelte giuste per i pazienti, è particolarmente importante. L’età media di diagnosi di un paziente con leucemia acuta, inoltre, è tra i 65 e i 70 anni, quindi, con tutte le criticità gestionali già menzionate.
Quali altri scenari futuri?
L’aspetto gestionale e in particolare il miglioramento del colloquio tra medico e paziente, compreso l’inserimento del punto di vista del paziente nel percorso terapeutico. Le associazioni di pazienti insistono sull’importanza che il medico, durante la visita, non scriva tutto il tempo al computer, ma dialoghi più attivamente con il paziente. I pazienti, inoltre, vorrebbero partecipare in modo più attivo alle decisioni che lo riguardano. Nella letteratura scientifica è noto che introdurre il punto di vista del paziente nelle decisioni cliniche migliora l’efficacia di tali strategie. L’Ia sta sviluppando dei prodotti, molto vicini alla commercializzazione, che sono in grado di catturare ciò che un medico e un paziente dicono durante una visita e farne un referto automatico.
Ci sono sviluppi anche per quanto riguarda i farmaci?
Sui farmaci innovativi l’intelligenza artificiale ha “colonizzato” lo sviluppo di nuove molecole in quanto è uno strumento che accelera molto l’individuazione di nuovi farmaci e nuove soluzioni di cura per malattie specifiche. Ciò che prima si faceva in laboratorio, quindi, con lunghissimi esperimenti, oggi può essere suggerito in modo efficiente e molto più rapido da algoritmi che riducono tempi e costi.
Quanto conta la collaborazione tra i tecnici che creano l’algoritmo e i clinici?
La competenza tecnologica, in un ambito così complesso, non ha la possibilità di essere pervasiva e rispondere alle esigenze dei pazienti senza la collaborazione dei clinici. È importante tenere conto del punto di vista degli utilizzatori che sono il medico e il paziente. Essenziale anche la formazione dei medici e delle nuove classi di ragazzi che studiano medicina su queste tecnologie.
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