Il bello delle elezioni comunali è che, nella stragrande maggioranza dei casi, sono la rappresentazione plastica di quanto più lontano ci possa essere dall’idea di partito. Nel senso che nei paesi si vota “a sentimento”, qualche volta a pelle, addirittura sulla base di antipatie familiari tramandate negli anni o persino sulla scorta di una multa ingiustamente presa un lustro prima per divieto di sosta. Quasi mai, insomma, il voto è figlio del senso di appartenenza (quello italiano, del resto, è volubile per definizione) o per onore della bandiera, visto che l’unica che conta davvero è quella della squadra di calcio. E questo, lo diciamo a bassa voce in una società così fortemente guelfa o ghibellina, finisce per rendere sempre curiose queste consultazioni.
È’ accaduto così anche questa volta, ça va sans dire. L’elettore medio ha scelto la persona e, nel caso di candidati con un passato amministrativo alle spalle, ha deciso sulla scorta dei convincimenti maturati nella legislatura precedente. Si spiegano così clamorose riconferme e altrettanto sorprendenti ribaltoni. Il “caso di scuola” è ancora una volta quello di Mauro Guerra, sindaco di Tremezzina per la terza volta consecutiva, presidente di Anci Lombardia e con una storia – anche a livello nazionale – coerentemente orientata a sinistra, senza infingimenti o furbesche strizzate d’occhio. Ebbene, Guerra ha vinto – ma sarebbe meglio dire stravinto – in un paese come Tremezzina, dove Fratelli d’Italia alle Europee ha ottenuto il 34 e rotti per cento e la Lega si è arrampicata fino al 28, lasciando le briciole (13 per cento) al Partito Democratico. La dimostrazione (e ci sono molti altri casi, se sfogliate le pagine che abbiamo dedicato alla consultazione) di quanto le persone arrivino prima delle camisetas dentro le quali si nascondono, la personalità prima della tessera, l’essere e non l’esserci a colpi di social.
E questo discorso, se volessimo ampliarlo, vale per Alice Galbiati e Giovanni Alberti – rispettivamente sindaci uscenti di Cantù e Mariano – che, d’accordo, sono sostenuti dalle forze politiche maggioritarie in questo momento politico. Ma davanti all’entità del loro successo non ci si può limitare ad applaudirli per essere al momento giusto nel momento (storico) giusto. Se sono stati riconfermati, vivaddio, è perché ai cittadini di Cantù e Mariano sono piaciuti. E pure tanto, evidentemente.
E il ragionamento assume paradossalmente lo stesso valore se si guarda i risultati al contrario, ovvero dal lato dei numerosi “ribaltoni”. Da Lurate a Lomazzo, per citarne due tra i più rumorosi, fino ad arrivare a Merone ed Albese con Cassano. La sconfitta dei sindaci uscenti – o dei candidati che a quegli stessi sindaci facevano riferimento – nella maggior parte dei casi è la prova-provata di uno scarso indice di gradimento rispetto a quanto fatto o non fatto nella legislatura precedente. La morale, per scavare il tunnel senza fine delle banalità, è che le persone continuano a contare. E che non è affatto vero – per fortuna- che uno vale uno. Anche nella gestione dell’amministrazione pubblica, così come nella vita e nelle professioni. Rispettosamente parlando, Sforza non era Baggio, neppure se avesse avuto la possibilità di indossarne la maglietta.
Davanti a tutto ciò, viene da chiedersi per quale motivo in molti paesi, non sia stata una “bella” e “sana”campagna elettorale. Ma, al contrario, si sia registrato un diffuso clima di litigiosità, pieno di “dispettucci” degni dell’asilo Mariuccia, manco in palio ci fosse il destino dell’umanità intera. Forse è sempre stato così. O forse, anche la politica di paese - da sempre la più nobile delle espressioni di servizio reso alla comunità - sta cominciando a scimmiottare quella dei palazzi scintillanti del potere. Ma siamo certi, basterà la prima alluvione, per rivedere i nostri sindaci a maniche di camicia rivoltate fino al gomito e pala saldamente in mano , pronti a battere il pugno sulla scrivania del funzionario regionale o statale che non caccia i soldi per sistemare le strade. Questi sono gli amministratori che piacciono. A prescindere dalla maglietta che indossano.
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