Sullo sfondo sembra di sentire Renato Carosone, con la sua “Caravan Petrol”. “Comme si’ bello
A cavallo a stu camello, Cu ’o binocolo a tracolla, Cu ’o turbante e ’o narghilè”. A cavallo del cammello diretto verso il Golfo Persico c’è Giggino Di Maio che si appresta a entrare in carica come inviato della Ue in quella zona ricca di petrolio. Altro che tornare a vendere bibite allo stadio San Paolo, ora Maradona, per l’ex esponente di punta del Movimento Cinque Stelle è pronto uno stipendio di tutto rispetto: si parla di 13mila euro al mese per l’incarico che gli è stato conferito da Bruxelles nientepopodimeno che su interessamento di Mario Draghi, di cui Giggino è stato ministro degli Esteri (incarico in passato ricoperto tra gli altri da personaggi del calibro di Giuseppe Saragat, Giulio Andreotti e Massimo D’Alema), e che ha sostenuto fino all’ultimo anche a costo di lasciare i grillini per fondare un partitino con un reduce della Dc quale Bruno Tabacci.
Tutti avevano scosso le spalle quando Di Maio aveva lasciato la casa madre che gli aveva consentito di diventare vice premier, ministro dello Sviluppo economico e annunciare da un balcone romano di aver sconfitto la povertà con il reddito di cittadinanza.
Povero Giggino, avevano detto i più dopo la mancata rielezione in Parlamento, chissà che fine farà adesso.
E invece… La storia di Di Maio dimostra che c’è una speranza per tutti. Fa niente se si arriva a Roma brandendo un apriscatole per aprire il Parlamento nazionale come una latta di tonno e poi si finisce tra le braccia comprensive e generose di quello europeo.
Chissà cosa penseranno i suoi amici del movimento che “Giuseppi” Conte tenta di tenere a galla nonostante l’ennesimo risultato elettorale tutt’altro che gratificante alle comunali. Giggino era quello che avrebbe dovuto raccogliere il testimone di Beppe Grillo e guidare i Cinque Stelle fuori da quell’Egitto della politica in cui si erano ficcati dopo la vittoria alle elezioni del 2018 culminata con il governo gialloverde insieme alla Lega prima di quello giallorosso con il Pd. Sempre al potere e allora anche a Di Maio le cose stavano bene.
Poi però quando Conte causa o pretesto il termovalorizzatore romano, aveva deciso di mollare il terzo esecutivo sostenuto, con Draghi alla guida (il simbolo vivente di quel mondo che i pentastellati volevano abbattere), ecco la provvidenziale crisi di coscienza di Giggino che lo ha portato all’attuale approdo, incarnazione del popolare detto napoletano per cui “ca nisciun è fess”. Perché l’incarico del Golfo Persico sarà solo il primo. Quando uno riesce a entrare in certi giri non ne viene fuori più.
Chissà se vedendolo scendere dall’auto blu con la grisaglia del diplomatico in servizio permanente effettivo, coloro che credevano nel cambiamento annunciato a roboanti parole dal movimento grillino l’avranno capita. Si direbbe di sì, in parte.
Perché comunque i sondaggi continuano in qualche modo a premiare il movimento. Si sa del resto, che in Italia, tutti quelli che sono partiti con l’idea di fare la rivoluzione, al primo annuncio di pioggerella si sono fatti da parte, rimandando il tutto a tempi migliori e cercando nel frattempo di tenere le terga al caldo.
Giggino non avrà sconfitto la povertà in generale, ma certo la sua sì.
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