Uno dei casi di cronaca più tristi, squallidi e demoralizzanti degli ultimi mesi è quello del doppio suicidio che ha coinvolto anche la celebre trasmissione di Italia 1 “Le Iene”.
La vicenda è nota. Un ragazzo di Forlì si è tolto la vita dopo aver scoperto di essersi perdutamente innamorato in chat di una ragazza che in realtà non esisteva e dietro la quale c’era invece un pensionato della stessa zona. I genitori avevano fatto denuncia e le forze dell’ordine erano così risalite all’identità dell’uomo, condannato poi a una semplice multa per il reato di scambio di persona. A questo punto, sono entrate in gioco “Le Iene”, che lo hanno braccato per strada alla loro maniera al punto che il pensionato non ha retto alla vergogna e si è ucciso a sua volta.
E’ difficile trovare una vicenda più avvilente di questa, che fa pensare a quanta solitudine, quanto abbandono alberghi nelle nostre menti e nei nostri cuori, a quale degrado straziante possano giungere delle persone normali, persone come noi, anche perché potremmo essere proprio noi un giorno, all’improvviso, a finire nello stesso tunnel. Una cosa da piangere.
Ma la polemica, come ovvio, è invece divampata sui metodi, per così dire, giornalistico-investigativi della trasmissione, ben nota per l’accanimento che esercita sulle persone che ha messo in agenda, senza alcun rispetto della privacy, delle garanzie più elementari, della continenza, della presunzione di innocenza eccetera eccetera. E quindi tutto un gran condannare e stigmatizzare e bollare con svariati marchi d’infamia quel tipo di giornalismo, che poi giornalismo non è affatto, ma piuttosto cialtronismo, sciacallaggio, gogna mediatica ignobile, diseducativa e intollerabile, tanto è vero che anche i vertici di Mediaset hanno condannato l’episodio e garantito che cose del genere non accadranno mai più. Vedremo.
Ora, tanto per chiarire, chi scrive questo pezzo non ritiene che “Le Iene” sia un programma diseducativo, demagogico e populista. E nemmeno che faccia macelleria, diseducazione, vergognosa spettacolarizzazione. Non lo pensa affatto. Chi scrive questo pezzo pensa semplicemente che “Le Iene” faccia vomitare. E di conseguenza sono anni che si guarda bene dal vederlo.
Detto questo, c’è qualcosa che non torna in tutta questa faccenda. E che si riassume in una semplice domanda. Ma se la corrida, la caccia all’uomo, la lettera scarlatta esercitata su quella persona che ha spinto al suicidio un ragazzo, pur non volendolo, è degna di sacrosanta condanna, riprovazione e provvedimenti disciplinari e deontologici, qualcuno sa spiegare come mai, trent’anni fa, la stessa identica corrida, la stessa identica caccia all’uomo e la stessa identica lettera scarlatta messa in opera non da quattro scalzacani dell’intrattenimento analfabeta televisivo, ma da legioni di seri, stimati e professionalissimi cronisti giudiziari ai tempi di Manipulite non ha ricevuto lo stesso trattamento?
Come mai, visto che abbiamo appena celebrato l’anniversario della sedicente rivoluzione etico-morale-salvifica-palingenetica, i protagonisti di cotanto eroica missione hanno fatto tutti, più o meno, luminosissime carriere e nessuno è stato processato dal consiglio di disciplina dell’Ordine dei giornalisti?
Qualcuno sa spiegare quale differenza ci sia, al netto della situazione storica e del contesto giudiziario, tra l’istigazione al suicidio del pensionato e quella del deputato socialista Sergio Moroni? Quale tutela è stata data a un parlamentare che aveva ricevuto solo un avviso di garanzia, senza alcun rinvio a giudizio, alcun processo, alcuna condanna, senza niente di niente? Chi ha l’età - purtroppo - se li ricorda bene i roghi giudiziari, le intemerate dal balcone del giustizialismo a reti unificate, le notti dei cristalli del ‘93, quando saltavano ministri e partiti e associazioni e imprese per un mero sospetto. E si ricorda anche quanti di quelli dipinti come mascalzoni siano stati poi assolti o archiviati. Come mai i volenterosi carnefici dell’informazione perbenista erano tutti eroi ieri e sono diventati tutti delinquenti oggi?
E che autonomia, che terzietà, che rigore nel mettere sullo stesso piano accusa e difesa, che indipendenza assoluta dalle fonti, ai tempi della cronaca giudiziaria di Manipulite, quando c’era il pool, il famoso pool, il mitologico pool, cioè i cronisti di tutti i giornaloni (Corriere, Repubblica, Stampa, Unità, Messaggero) che, tutti assieme, andavano in pellegrinaggio dai pm e, tutti assieme, si facevano scivolare nelle tasche i verbali e, tutti assieme, distinguevano il grano dal loglio e, tutti assieme, pubblicavano le stesse identiche cose e, tutti assieme, dispensavano la verità rivelata all’Italia in rivolta. Tutti assieme, sempre e comunque, alla faccia della concorrenza e a conferma dell’immortale aforisma secondo il quale ci sono solo due tipi di giornalista: il giornalista-squalo, che lavora da solo, e il giornalista-tonno, che vive in branco. O meglio in mandria, in gregge, con l’anello al naso, in spasmodica attesa che il magistrato di turno gli lanci il becchime quotidiano per poi omaggiarlo con lodi e salamelecchi. E grazie al quale può indossare i panni del missionario, che nella guerra santa tra il Bene e il Male è in prima fila con le forze del Bene, naturalmente, con tutte le devastanti conseguenze che abbiamo visto in quegli anni schifosi e tragici che hanno segnato la fine della politica. E, probabilmente, anche quella del giornalismo.
Il conformismo è il male ferace della società. Assieme alla doppia morale. Quella che valuta in maniera diametralmente opposta due fatti identici a seconda delle proprie convenienze o adattandosi allo spirito dei tempi. Il metodo “Iene” del quale tanto ci scandalizziamo non rappresenta niente di nuovo, se non la riproposizione con altri mezzi del metodo dei soliti cattivi maestri che ancora oggi, senza vergogna, sdottoreggiano in televisione e sui giornali. Ma questa è un’altra penosa storia italiana…
© RIPRODUZIONE RISERVATA