Il re dei palleggi: «Mi sono salvato
grazie al calcio»

Persone Gilbert Nana lavorava come bracciante, ma dopo l’arrivo in Italia non ha mai smesso di sognare. Oggi è una star di TikTok: «Ma quanta sofferenza»

«Lo sport mi ha salvato la vita e penso la possa salvare anche a tanti altri giovani».

Sta portando avanti il progetto di una fondazione in Camerun, il suo Paese d’origine, per aiutare i bambini bisognosi o che hanno perso la propria famiglia. I suoi palleggi sulla testa lo hanno incoronato star di TikTok, ma Gilbert Nana i piedi li ha ben piantati a terra, infilati nelle scarpette da calcio dell’Asd Valbasca Lipomo, dove milita come attaccante. La direzione? Mai smettere di lavorare per i propri sogni e dare una mano ai più giovani perché possano realizzare i loro. Il desiderio di Gilbert oggi è più concreto che mai: vuole portare in Italia il papà malato, perché si dovrà sottoporre a un’operazione chirurgica, e con lui la madre e i fratelli: «Ho bisogno di riabbracciarli dopo dieci anni di lontananza e di saperli al sicuro».

La sua storia lo accomuna a tantissimi giovani africani, giovani uomini e giovani donne, che hanno preso la via dell’immigrazione per sfuggire spesso da contesti di guerra civile, dove vivere era diventato troppo pericoloso. Gilbert a 17 anni e mezzo, dopo una violenta azione militare avvenuta nel suo villaggio, si è trovato a fuggire da casa senza mai potersi guardare indietro. Sono stati due anni incredibili, di lotta continua per la sopravvivenza, in cui l’amore per il calcio, da quel primo pallone ricevuto da bambino, l’ha tenuto attaccato alla speranza di immaginare un futuro migliore, anche quando lavorava come schiavo nelle campagne per dei crudeli possidenti libici. «Tanti pensano che il mar Mediterraneo sia la tomba di chi emigra, mentre la vera tomba di noi africani è il deserto del Sahara. Nel Sahara si entra, guidati da gente che dice di conoscere la strada, ma poi si è abbandonati a se stessi, senza cibo, senza acqua, senza forze. Ho perso i miei compagni di viaggio e, arrivato in Algeria, mi sono sentito un miracolato. Lì lavoravo come bracciante, quando una notte, mentre io e altri lavoratori riposavamo al confine con la Libia, dove c’erano i terreni, alcuni libici ci hanno rapito per poi rivenderci come schiavi nel loro Paese. In Libia dormivano in 13 in una sola stanza, buttati su dei materassi a terra, malnutriti e senza nessuna via d’uscita».

Poi una mattina all’alba Gilbert è stato svegliato di soprassalto dal suo stesso padrone che di forza l’ha letteralmente gettato su un gommone insieme ad altre 163 persone, solo in 70 di queste sono sopravvissute alla traversata del Mediterraneo. Probabilmente era stato venduto ancora una volta, ma nemmeno lui sa ricostruire bene questo passaggio della sua vita.

«Trovarsi di notte in mare aperto a bordo di un gommone che imbarca acqua è l’incubo peggiore che si possa immaginare. Noi uomini eravamo seduti sui bordi del gommone, con un piede in acqua per mantenere l’equilibrio, le donne al centro, donne anche con bambini piccoli tra le braccia. Siamo rimasti 37 ore in questo stato con gente che, arsa dal caldo, beveva acqua di mare per poi essere presa da febbre e dissenteria. Anche se sai nuotare in quelle condizioni non ti salvi, ci ha salvato chi ci è venuto a prendere con le imbarcazioni dall’Italia. In quel momento ho pensato: “Dio, se mi salvo, mi faccio battezzare”».

Infine l’arrivo a quasi 19 anni e mezzo a Lampedusa, la chiusura del centro di accoglienza, il dormire in strada, l’essere completamente solo, il viaggio verso la Calabria e la Puglia, il lavoro a raccogliere ortaggi per 20 euro al giorno. Ma in ogni situazione, in ogni posto, una costante: il calcio. «Non ho mai smesso di allenarmi, appena finivo il lavoro tornavo a giocare, era l’unico modo per mantenere in salute il mio fisico, ma anche la mia mente». E finalmente un colpo di fortuna, Gilbert era stato scelto per giocare prima nelle formazioni locali per arrivare a Verbania in prima squadra, intraprendendo un percorso di riscatto e di integrazione in cui lo sport ha avuto e ha anche oggi un ruolo chiave.«Per un infortunio ho smesso di giocare per un po’, credevo che per me fosse finito tutto. Poi ho pensato di usare la testa, visto che con i piedi non potevo scendere in campo, e da lì è nato per gioco il contare i palleggi consecutivi che riuscivo a fare. Adesso il mio record è di 21mila in un’ora e 56 minuti, li ho realizzati in diretta Twitch, con me c’erano collegate 40mila persone».

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