«Imane è una donna e avere più muscoli non basta per vincere»

L’esperto Il primario di Ginecologia del Sant’Anna commenta la vicenda che ha visto coinvolte le pugili algerina e italiana alle Olimpiadi: «Il testosterone più alto favorisce la massa fisica ma lei ha prevalso in virtù delle sue caratteristiche»

Se hai un cromosoma XY sei un maschio: niente di più sbagliato. Imane Khelif, pugile algerina, è una donna a tutti gli effetti, “colpevole” di rientrare in una casistica molto rara, quella di “identità sessuale ambigua”.

Paolo Beretta, primario di Ginecologia all’ospedale Sant’Anna di Como, spiega dal punto di vista scientifico le caratteristiche fisiche dell’atleta algerina e quanto queste possano influire sulle sue prestazioni.

L’identità

«L’espressione sessuale di un individuo ha delle variabili che la differenziano, ma non tutte sono automaticamente patologie», dice. La questione su cui Beretta pone l’accento è il concetto di “identità sessuale ambigua”, che può essere legata a disturbi ormonali, metabolici, a malformazioni e a variazioni cromosomiche genetiche. «La situazione più frequente e banale è quella della policistosi ovarica ed è legata anch’essa a un aumento del testosterone a livello ovarico».

L’ambiguità dell’identità sessuale è una condizione a volte difficile da diagnosticare. In alcuni casi basta un’ecografia prenatale per osservare i genitali esterni e definire il sesso del feto, ma a volte ci sono delle situazioni ambigue che obbligano a fare il cariotipo dopo la nascita. Il cariotipo - o analisi cromosomica - è un esame che permette di individuare eventuali anomalie cromosomiche.

Tra le sindromi più importanti legate all’identità sessuale ambigua, vi è la sindrome di Morris - di cui si sta parlando in relazione a Imane Khelif - in cui, come spiega Paolo Beretta « l’assetto cromosomico è maschile, quindi se si fa il cariotipo esce il 46esimo cromosoma XY, eppure i caratteri sessuali secondari sono femminili (ad esempio la vagina, il seno, la distribuzione dei peli...), perché dal punto di vista ormonale non c’è stata la definizione maschile dei genitali esterni». Diversa è la condizione di “ermafroditismo” in cui la persona presenta sia tessuto ovarico che tessuto testicolare e «a seconda di quello che prevale, i genitali esterni avranno caratteristiche maschili o femminili».

Il caso mediatico

Entrando nel caso specifico dell’atleta algerina e del conseguente caso mediatico, non è semplice esprimere un giudizio, ma secondo Beretta «se Khelif è stata ammessa è perché c’è un comitato che l’ha ritenuta idonea, è una donna anche se ad alcuni può sembrare un uomo, altrimenti non sarebbe stata valutata come idonea a gareggiare con un’altra donna e sarebbe salita sul ring contro un atleta maschio».

Alla domanda se c’è stato un vantaggio sull’avversaria, il primario risponde che «l’atleta in questione è una donna che ha sicuramente dei livelli di testosterone più alti, e questo la favorisce dal punto di vista della prestazione muscolare, però è pur sempre una donna». Il testosterone ha infatti un effetto anabolico sui muscoli, ma una donna con una sovrapproduzione di questo ormone è avvantaggiata «in virtù delle proprie caratteristiche fisiche, non perché è un uomo. Se fosse stata un uomo, il Cio l’avrebbe esclusa dalle gare femminili».

In ogni caso, al di là del polverone mediatico che si è generato, il primario consiglia di astenersi dalle conclusioni facili: «È molto difficile fare questo tipo di diagnosi, servono persone competenti. Non è il caso di dare opinioni sul fatto che queste persone non sono identificabili come donne».

Per dare un senso della complessità della genetica Beretta fa un esempio: «Nel caso di una donna in gravidanza con un feto in utero di sesso maschile, quando andiamo a fare le analisi nel sangue della donna troviamo anche delle cellule maschili, ma questo non vuol dire certo che la donna in questione sia un uomo».

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