In cella con l’omicida di don Roberto
«Qualcosa in lui sta cambiando»

Il cappellano del carcere di Monza racconta la detenzione di Ridha Mahmoudi - «Non riesce ancora a pronunciare il nome del sacerdote ucciso. Ma lo sente vicino»

«Don Roberto ha certamente perdonato chi lo ha ucciso. Ne sono convinto. E questa persona sente la sua presenza che l’accompagna».

Padre Augusto Panzeri è il cappellano del carcere di Monza, dove si trova detenuto Ridha Mahmoudi, l’uomo che ha accoltellato don Roberto Malgesini lo scorso 15 settembre.

Venerdì è intervenuto con la sua testimonianza durante un incontro virtuale, promosso dalla Diocesi di Como per il Mese della pace, dal titolo “Donne e uomini di fedi diverse in cammino per la pace, sui passi di don Roberto Malgesini”. Tra i vari rappresentati dei credi religiosi, presenti in città, a lui è stato affidato il delicato tema del perdono, come strumento per costruire la pace fuori e dentro di noi.

E lui subito ha raccolto l’invito, raccontando quanto il perdono sia capace di trasformare le persone. Ha voluto iniziare dai suoi incontri in carcere con Mahmoudi.

«A questa persona è stato dato il perdono, espresso con un piccolo segno religioso, che è il rosario che abbiamo tentato di consegnarli al suo ingresso nel carcere di Monza, donato dal Papa. Il perdono è quindi certamente dato, ma il perdono è accolto con consapevolezza? Questo è il cammino da fare. E in questo cammino, che continua da qualche mese, ci sono delle tappe che mi portano a dire che c’è qualcosa che lavora in lui».

Il primo segno per il cappellano riguarda le emozioni e gli affetti. «Ha chiesto di parlare con la madre “perché chissà cosa avrà letto di me e cosa penserà”. Un’altra tappa è la testimonianza di una volontaria. È stato molto colpito dalla gratuità di questa presenza. Un ulteriore segno è riferito a un colloquio che ha fatto con me in cui lui ha mostrato molta memoria della Chiesa di Como, mi ha parlato del vescovo Oscar. Conosce la parrocchia di San Rocco, i preti, ma non riesce a dire il nome di don Roberto. Lui è grato per l’accoglienza e i doni che ha avuto. Mi ha fatto vedere un paio di occhiali rotti, rotti in quella circostanza, e non voleva disfarsene perché c’era un legame. Questi sono piccoli passi che creano un terreno».

E poi l’episodio più forte: «Un giorno gli ho consegnato dello shampoo e del vestiario e lui mi ha risposto “Dio usi misericordia con te”. Sono rimasto rigido e lì ho sentito in lui un tramite della misericordia di Dio che sa usare gli strumenti che vuole e ogni volta ci sorprende. Tutta l’istituzione del carcere di Monza era molto preoccupata del mio comportamento con questa persona, mi è stato detto anche di non avvicinarla. Ma Dio, come dice il Vangelo, non chiude con nessuno e con ciascuno è sempre pronto a ricominciare». L’ultimo colloquio tra il detenuto e il suo cappellano accoglie questa verità: «Solo pochi giorni fa mi ha confessato: “In cielo ho qualcuno che mi protegge”. Anche se non ho voluto chiedere chi fosse, il mio pensiero è andato subito a don Roberto. Questa persona sente accanto la sua presenza. Poi arrivare fino in fondo... A capire... È un dramma umano che dobbiamo lasciare a lui stesso e ai tempi di Dio».

Don Roberto Malgesini ha fatto della sua vita testimonianza della cura dell’altro e della forza del perdono.

«Camminava tutto il giorno per le strade di Como per andare a incontrare gli altri, per accogliere le loro sofferenze e i loro problemi, senza giudizio, ma solo con l’ascolto. Per diventare costruttori di pace - è intervenuto venerdì sera don Roberto Bartesaghi, compagno di messa del sacerdote ucciso - bisogna liberarsi da se stessi, dalle proprie paure e dalle proprie convinzioni. Roberto camminava non per arrivare primo, ma insieme agli altri, attento a non lasciare indietro nessuno».

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