C’era una volta Super Mario Draghi. Adesso c’è solo la Super, intesa come benzina che aumenta ormai con cadenza oraria in una surreale corsa di sorpassi e controsorpassi con il gasolio. Colpa della guerra, ma non solo, visto che i rincari erano già partiti prima dell’attacco russo all’Ucraina.
Molti, in questi giorni in cui sembra che il pieno esca da un caveau anziché dal solito distributore, hanno evocato Livigno, che per i valtellinesi è il piccolo Tibet, per tutti gli altri una sorta di bengodi non proprio a portata di mano che, proprio a causa della sua disagevole posizione geografica, gode di quello che il sogno di buona parte se non di tutti, gli italiani: è zona franca, quindi “tax free”. Certo, i carburanti sono aumentati anche lì. Però il costo è ben lontana dal quel traumatico “2” apparso nel resto d’Italia come primo numero sui tabelloni che indicano il costo al litro. Perché la benzina e il gasolio sono fatti di tasse presenti quasi nella stessa quantità degli idrocarburi. E questo lo sappiamo più o meno tutti. Magari però qualcuno è ignaro del fatto che questi balzelli, detti in gergo tecnico “accise” sono progressive: quindi crescono in proporzione con l’aumento del costo di carburante.
Ecco perché Mario, nel senso di Draghi, in questo caso rimane a secco di super. Perché con un tono un po’ da “ganassa”, qualche giorno fa in Parlamento, a proposito della riforma del catasto ha annunciato che nessuno pagherà più tasse (intese sulla casa) e che il suo governo sulla riduzione fiscale ha già dimostrato di cosa è capace.
Vero, almeno in parte. Peccato che, proprio mentre il premier a 100 ottani parlava, le tasse, in forma di accise e Iva (in questo caso una tassa sulle tasse) sui carburanti crescevano di pari passo al prezzo. E allora si rischia la solita beffa della somma zero: elargisci con una mano e riprendi con l’altra.
Il tormentone di queste imposte sui carburanti è noto. Si pagano ancora per le spese sostenute nella guerra di Abissinia o forse anche di qualcuna di quelle puniche o di una crociata, per il terremoto del Belice che forse neppure gli abitanti di quelle terre ormai ricordano, magari anche per la peste descritta dal Boccaccio. Ancora molti si producono in risate omeriche nel ricordo del pronunciamento di Matteo Salvini, appena insediato al governo che aveva annunciato l’abolizione delle anacronistiche quanto redditizie, accise. Poi qualcuno deve averlo preso da parte per spiegargli che era più facile far passare l’evangelico cammello nella cruna dell’ago piuttosto che interrompere un’emozione che aveva fatto la gioia di tanti esecutivi precedenti. Vi siete mai chiesti, voi e pure il Capitano della Lega, come mai il prezzo della benzina ci mette un nanosecondo ad aumentare e un’era geologica a diminuire, a prescindere da come va il petrolio? Sarà mica che lo Stato ci fa cassa e si garantisce un’entrata tanto comoda quanto sicura, perché si sa che per noi italiani è dura lasciare l’auto in garage e che poi a dispetto delle tante buone intenzioni, l’80% delle merce da noi viaggia su gomma, cioè a benzina e gasolio.
Se Mario vuole tornare a essere Super, trovi il coraggio che nessuno dei suoi predecessori ha mai neppure pensato di sfoderare ed entri a piedi uniti sulle accise. Se lo si fa, giustamente, per gas e luce (altre fonti energetiche stratassate) perché non per i carburanti? Così almeno sarebbe coerente con se stesso in materia di riduzioni di tasse e gli italiani potrebbero tornare a marciare per le strade fieri del loro Super premier che gli ha ridato la Super benzina. Ma c’è da scommettere che non accadrà.
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