Imprese e Lavoro / Como città
Lunedì 01 Luglio 2024
«Manca la manodopera? Si può formare in Africa»
L’intervista Ezio Vergani, presidente della Camera di commercio Como Lecco, anticipa i contenuti di un progetto: «Può essere una soluzione...»
«Facite ammuina». È un’espressione della Marina del regno delle Due Sicilie, significa «fate confusione». Era l’invito di un ufficiale all’equipaggio, un consiglio da mettere a frutto in occasione delle visite dei superiori. Lo scopo? Intuibile: dimostrare che su quella nave nessuno stava mai con le mani in mano. Sempre tutti indaffarati, oberati di lavoro.
Tensione al nuovo e all’originale
«Facite ammuina». L’espressione fu usata da Ezio Vergani davanti ai colleghi imprenditori, riuniti in assemblea. Si riferiva all’inconcludenza operosa di uno dei tanti governi che si sono succeduti. Forse, molti imprenditori lecchesi ascoltavano per la prima volta quella espressione borbonica, e perciò serbano ancor oggi un ricordo vivido delle assise dell’Unione industriali in cui Ezio Vergani la pronunciò. Era il 1995 e, in via Caprera a Lecco, Vergani faceva il suo esordio da presidente degli industriali.
Sotto i ponti dell’Adda l’acqua è passata come gli anni, e da due mesi (l’insediamento è del 23 aprile) Ezio Vergani è il presidente della Camera di commercio Como Lecco. Abbiamo raccontato l’episodio del «facite ammuina» per raffigurare la tensione al nuovo e all’originale che anima Vergani nelle sue attività. Un atteggiamento testimoniato anche dall’impegno del presidente camerale in Intercultura, l’associazione che promuove scambi internazionali tra gli studenti delle scuole superiori. Proprio da una visione globale delle faccende dell’economia, nasce una delle idee che Vergani ha portato nel dibattito camerale: formare in Africa il personale per le nostre imprese in difficoltà a trovare manodopera.
È un progetto non facile perché si gioca su più tavoli. Giusto?
Diciamo che al momento è un’idea sulla quale cominciare a lavorare. E sulla quale avviare un confronto tra tutti i soggetti che possono essere coinvolti: istituzioni, associazioni d’impresa, aziende, sindacati. Intanto, in Camera di commercio ho chiesto al collega Antonio Pozzi, presidente di Enfapi, di affiancarmi per approfondire i temi legati alla formazione. L’obiettivo che dobbiamo darci è garantire la manodopera al tessuto economico nel medio-lungo termine. Se cronica, la carenza di figure da assumere diventa un freno al le opportunità di sviluppo della singola impresa e di tutto il territorio. E non è solo un problema del manufatturiero, ma anche dei servizi, penso, ad esempio, al settore turistico o al commercio.
I tecnici formati in Africa. Un’esperienza che si ispira a quella di Confindustria Alto Adriatico che di recente alla presenza di Mattarella ha inaugurato una scuola professionale in Ghana?
Ci sono tanti progetti di collaborazione nel campo formativo, penso ad esempio agli istituti professionali che i salesiani hanno nelle nazioni del continente africano. Per risolvere il problema manodopera, viene facile pensare a un Paese dell’Africa, dove la demografia è in crescita. E dove si possono trovare giovani interessati a imparare un mestiere e a trasferirsi qui da noi. Poi nelle singole aree dell’Africa resistono e si tramandano competenze manufatturiere sulle quali innestare la formazione. Detto questo, siamo tutti consapevoli che non è un progetto che si riuscirà a concretizzare dall’oggi al domani, anche perché vanno risolti aspetti di carattere burocratico, considerato che una volta formati i ragazzi hanno bisogno dei visti per emigrare. Ma un passo alla volta ce la faremo.
C’è anche il tema dell’integrazione. Come affrontarlo?
È una priorità. I ragazzi devono seguire dei corsi di italiano, e sulla nostra cultura e il nostro assetto istituzionale. E devono essere consapevoli che in Italia dovranno rispettare le nostre leggi, la cultura, le tradizioni, come noi facciamo con le loro.
Il rispetto reciproco è la base per costruire su basi solide un progetto di questo tipo. Inoltre, va affrontato e risolto il problema abitativo.
Non teme ci possano essere reazioni contrarie sul territorio?
Sarà inevitabile affrontare qualche oppositore. Ma dobbiamo essere consapevoli che se vogliamo mantenere competitività e ruolo delle nostre imprese sui mercati, dobbiamo risolvere il problema della carenza di manodopera. E i numeri della demografia non lasciano molte alternative a flussi regolati e preparati di lavoratori dall’estero.
Sono previste anche azioni sul territorio?
Certo, il primo impegno è quello. Dobbiamo insistere con i progetti di orientamento dei ragazzi, aiutarli a capire quali percorsi formativi intraprendere. Dobbiamo proseguire nell’impegno a far conoscere la realtà delle nostre aziende ai giovani e alla famiglie, perché troppo spesso resiste un’idea sbagliata del lavoro in fabbrica. Dobbiamo potenziare l’offerta formativa degli Its, la cui didattica è costruita sulle esigenze delle imprese. E dobbiamo sfruttare i laboratori che abbiamo nel territorio per attività che coinvolgano i ragazzi e li avvicinino alla realtà delle aziende e del lavoro.
C’è la risorsa dell’occupazione femminile che può contribuire a colmare il divario tra domanda e offerta sul mercato del lavoro.
Sì, vanno sostenute le imprese sulla flessibilità degli orari che consentano alle mamme di conciliare i tempi di lavoro con le esigenze familiari. Un aiuto può venire dai progetti di welfare aziendale che consentono di mettere in rete alcuni servizi. Ma c’è anche un’altra fascia di giovani che possiamo far entrare nel mercato del lavoro dal quale si sono esclusi.
Quale?
Sono i Neet, i ragazzi che non studiano e non lavorano. Sono tanti. Con questi giovani va avviato un’operazione tra tutti i soggetti del territorio, che riesca a coinvolgerli in progetti di studio e lavoro. È un’emergenza sociale, la cui soluzione può avere anche un effetto positivo sul versante economico.
Sempre in tema di giovani. Lei ha anche lanciato l’idea di utilizzare le dimore storiche del territorio per progetti di formazione d’eccellenza a livello internazionale. In cosa consiste?
A Como e nel Lecchese già vengono organizzati seminari di alta formazione che richiamano studiosi da tutto il mondo. Sono esperienze che vanno allargate e strutturate, con il coinvolgimento delle università e dei centri di ricerca e studio. Sono convinto che è dallo scambio di culture ed esperienze che nascono innovazione e sviluppo.
A che punto è l’integrazione tra i due territori della Camera di commercio? A Lecco più di qualcuno si sente schiacciato dai numeri che esprime Como.
Ho trovato da parte di tutti un’ampia disponibilità a collaborare, con grande rispetto ed equilibrio delle diverse componenti. D’altra parte, dobbiamo essere consapevoli che è necessario avere una visione ampia, ce lo impongono i mercati. Non è più il tempo dei campanili. Noi siamo parte del sistema lombardo. È il nostro riferimento. Siamo tra i protagonisti di un tessuto economico che non ha eguali in Europa, al quale anche i tedeschi guardano con ammirazione. I nostri concorrenti e partner sono consapevoli che abbiamo capacità progettuali, innovative e imprenditoriali che pochi possiedono. Ma lo sapete quanta componentistica delle nostre imprese c’è in un’auto tedesca di alta gamma?
Lariofiere è un po’ il baricentro dei due territori. Che ruolo può avere?
È un polo fieristico importante, che è un riferimento per molte iniziative. E sul quale abbiamo cominciato a valutare varie opportunità di potenziamento, anche in mercati diversi da quello fieristico. Ci stiamo ragionando, anche se al momento è prematuro dare anticipazioni.
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