«La mente che sa desiderare guarda in faccia le passioni»

“Le notti senza memoria” è l’ultimo romanzo di Carmelo Sardo: il rimpianto di un amore folle e delirante. Ogni parola, ogni frase, ogni pagina ci ricorda che la grande letteratura è una scommessa con il lettore

Questo romanzo meriterebbe il Premio Strega. Negli ultimi anni su queste pagine abbiamo anticipato di mesi e scrivendone più recensioni di romanzi poi trionfanti: come “M” di Antonio Scurati (Bompiani) o “La scuola cattolica” di Edoardo Albinati (Rizzoli). Siamo pronti a scommettere su questo “Le notti senza memoria”, firmato da Carmelo Sardo. Basta leggere le prime pagine o anche soltanto la prima riga: «La prima volta che l’ho vista l’avevo appena sognata» per capirne la forza.

È tra i migliori romanzi italiani usciti negli ultimi anni perché ogni parola, ogni frase, ogni pagina non è lacrima che si fa narrazione ma il ricordarci che la grande letteratura è una scommessa con il lettore, quasi un patto. È una poesia che ci è rimasta dentro, un sogno che inseguiamo perché la purezza, forse, è un passato che può insegnarci il presente. Abbiamo intervistato l’autore Carmelo Sardo, da anni riconosciuto tra i massimi giornalisti che raccontano e combattono la mafia. Oggi è caporedattore cronache TG5 e autore del bestseller “Malerba”, tradotto in 14 lingue.

Il grande merito di questo romanzo è che ci ricorda come la ossessione d’amore - ormai raccontata solo come una psicopatologia- abbia anche un altro aspetto: un amore per sempre, quello che abbiamo inseguito cercato sognato ma sempre sfuggito...

Sinceramente sono molto lusingato di questa “valutazione” del mio romanzo, specie se arriva da critici letterari, colti e liberi come Lei, Serino che già in passato ha colto per primo il valore e l’importanza di un libro come “Malerba”, che ha contribuito a far diventare un bestseller internazionale.

Il titolo “Le notti senza memoria” rimanda a Dostoevskij ed entrambi partono dal limbo tra sogno e realtà. Una sfida non da poco.

Sono un appassionato dell’opera Dostoevskiana e fatalmente ci sarà stato in qualche meandro della mia psiche un condizionamento de “Le notti bianche”. Non a caso ho scelto a esergo per il mio libro una frase proprio del grande romanziere russo. Ma la mia storia si sgancia da ogni possibile contaminazione di grandi letterati e più prosaicamente scandaglia l’animo umano senza la pretesa di affrontare gli accadimenti delle vite degli uomini con gli strumenti dell’esperto, ma più semplicemente facendo parlare i miei sogni, e quel meraviglioso limbo sospesi in un dormiveglia dove la mente viaggia e tratteggia i contorni di amori complicati, di follie e di deliri, di passioni. Ho voluto mettermi a nudo e parlare il linguaggio di chi si scruta nel profondo e guarda in faccia le forme talvolta deliranti, dei desideri, delle passioni.

Mi viene in mente la parola coraggio. Per scrivere un romanzo come questo ne serve tanto ed è quello che manca alla letteratura contemporanea. Lei mostra le sue ferite, tutte, ma al contempo ci ricorda come siano quelle che ci rendono esseri umani se le sappiamo affrontare e renderle fiori del presente.

Questa sua riflessione credo sia la più vera e la più aderente per affrontare la storia di questo mio romanzo. È vero, ho avuto molto coraggio e aggiungo che c’è voluta anche una certa esperienza di vita, aver passato la soglia dei sessant’anni per poter essere nelle condizioni di raccontare quello che accade a un uomo nell’arco della sua esistenza.

Primo in Italia degli ultimi anni ha l’intuizione di come la malinconia o la nostalgia della vita amorosa (o non) possano diventare oggetti. Non a caso ambienta il romanzo in un post-68 con i telefoni a gettoni, le automobili e i prodotti entrati nel nostro immaginario collettivo.

L’ambientazione di questa storia in quel tempo, almeno nella fase iniziale e centrale del romanzo, è chiaramente voluta non foss’altro per poter rivisitare con la memoria quelle ambientazioni, quegli oggetti che hanno caratterizzato la mia fanciullezza, la mia giovinezza. Mi è servito anche in qualche modo per “esorcizzare” la nostalgia che divora chi va avanti con l’età. Io credo poi che se racconti di cose che hai personalmente vissuto, puoi tratteggiarle meglio e restituire meglio la loro forza, la loro potenza. Perfino un pastore che porta il proprio gregge al pascolo può diventare una figura dolce e nostalgica, come succede in questo romanzo. Le auto di quel tempo poi. Tutti i giovani degli anni 70 come me hanno avuto una fiat 500 vecchio modello con cui hanno imparato a guidare, e confesso che era l’alcova perfetta per le intimità di quel tempo almeno per quanto mi riguarda. e riportare nella storia questi dettagli l’ho trovato un tocco al cuore.

Il protagonista è uomo che non accetta di vivere infelice perché costa meno - accontentarsi è il male dei nostri tempi- ma pur rischiando “le notti senza memoria” affronta un romanticismo che oggi è svilito.

Nell’indole del protagonista ho voluto concentrare tutte le sfaccettature proprie dell’uomo innamorato, che per un diabolico intreccio del destino, sogna la donna di cui è follemente infatuato, ma quando poi la incontra nella realtà, si paralizza, non è capace di manifestarle il suo amore, e preferisce coltivare il rapporto nei sogni, dove continua ad apparirgli. Il romanzo si sviluppa su tre piani: tutto quello che accade nei sogni, quello che accade in quella che appare la realtà e un terzo e definitivo piano che, dopo una svolta clamorosa, scompagina tutto. Il comune denominatore sono le fobie del protagonista, i fantasmi che popolano la sua fantasia, o forse la sua realtà, e la sua tenacia morbosa nel desiderare una donna. Alla fine, se dovessi isolare in una sola frase il senso di questo romanzo direi senza indugi che si tratta di una storia d’amore, folle e vera.

Eppure in tutto questo ci sono due qualità quasi impossibili: rigore e dignità. Spesso si perdono sognando e vivendo il passato. Come si riesce?

Ho voluto riportare nella storia fatti realmente accaduti, non tanto e non solo all’autore, ma anche a persone che negli anni me le hanno riferite. Faccio dire ai protagonisti quello che chiunque di noi pensa nella vita reale ma non osa pronunciare. Il rigore dei sentimenti, lo definirei così, consiste secondo me anche nella narrazione di un piacere erotico: del resto viviamo tutti per procurarci emozioni, piaceri, e ritengo che non ci sia piacere superiore a quello che ci procura l’amore anche nella sua coniugazione fisiologica più ovvia. La dignità è quella della compostezza del ricordo pur condizionato dai sogni. Ho messo a nudo la mia vita e quella degli altri. Qui dentro ci siamo tutti noi.

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