Il Piano strategico mondiale per la biodiversità del pianeta per il periodo 2011-2020 prevedeva 20 traguardi, i cosiddetti Aichi Biodiversity Targets, il cui scopo era quello di proteggere e ripristinare la biodiversità. Purtroppo, secondo una valutazione delle Nazioni Unite, nessuno degli obiettivi di Aichi è stato centrato. L’unico quasi raggiunto è stato quello di istituire, a scala globale, aree protette sul 17% del territorio e sul 10% di aree marine e costiere. In Europa, è andata anche meglio. Nel 2021, le aree protette coprivano il 26,4% del territorio dell’Ue, con il 18,5% designato come siti Natura 2000 e il 7,9% con altre tipologie di aree protette, di designazione nazionale. In Italia abbiamo raggiunto il 21%.
Gli esperti hanno imputato il fallimento a una scelta sbagliata dei traguardi, a una generale mancanza di investimenti, risorse, conoscenze e responsabilità nei confronti della conservazione della biodiversità.
Il rapporto
Ora, secondo un rapporto dell’Ipbes, la massima autorità scientifica su natura e biodiversità, un milione di specie animali e vegetali è a rischio di estinzione. Metà di esse rischia di estinguersi entro il 2100. Dal 1970 a oggi c’è stato un calo medio del 70% dell’abbondanza delle popolazioni di mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci. Il declino delle specie è particolarmente pronunciato nelle regioni tropicali (-94%) e nei sistemi di acqua dolce (-84%).
Negli ultimi 30 anni la superficie forestale mondiale è diminuita di 420 milioni di ettari di foreste, di cui almeno 80 milioni di foreste primarie, naturali e finora indisturbate dall’uomo. L’espansione agricola è il principale motore della distruzione delle foreste. L’agricoltura commerciale su larga scala (principalmente allevamento di bestiame e coltivazione di semi di soia e palma da olio) ha causato il 40% della deforestazione tropicale e l’agricoltura di sussistenza locale un altro 33%.
Il declino della natura, la «sesta grande estinzione di massa» sta avvenendo per mano dell’uomo e delle attività agricole, forestali, turistiche, industriali, energetiche, commerciali, insediative, che portano alla distruzione e alla degradazione degli habitat, al sovra-sfruttamento delle risorse biologiche (specialmente a causa di pesca industriale, bracconaggio e contrabbando), l’inquinamento, i cambiamenti climatici e la diffusione di specie aliene invasive) vedono ridurre le loro probabilità di sopravvivenza nel lungo periodo.
La perdita di biodiversità globale sta mettendo in pericolo le economie, i mezzi di sussistenza, la sicurezza alimentare e la qualità della vita delle persone di ogni angolo del mondo, specialmente delle donne e delle comunità indigene. Ciò è facilmente comprensibile se pensiamo che l’economia e il benessere umano dipendono dalla biodiversità per la fornitura di cibo, acqua potabile, legno, fibre, energia, e per la protezione da alluvioni, il controllo dell’erosione, l’ispirazione per la creatività e l’innovazione, il benessere psichico. Un rapporto del World Economic Forum ha stimato che circa la metà del Prodotto Interno Lordo mondiale dipende dalla biodiversità.
Accordo mondiale
Di fronte a questo quadro la comunità scientifica e i Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione Onu per la biodiversità stanno cercando, partendo dalle storie di successo e dagli errori passati, di trovare un accordo mondiale per fermare - secondo un linguaggio insolitamente poco sobrio degli scienziati - «l’annientamento biologico del pianeta» e «l’orribile assalto alle fondamenta della civiltà umana».
La bozza del nuovo accordo mondiale per la tutela della natura riparte dalle aree protette. La bozza del nuovo accordo Onu, discussa alla fine di marzo in una conferenza Onu, prevede che almeno il 30% delle aree terrestri e il 30% delle aree marine a livello globale siano conservati attraverso (i) sistemi efficaci di aree protette, gestite equamente, ecologicamente rappresentative e ben collegate e (ii) altri interventi efficaci di conservazione basate sul territorio. Durante l’anno di Presidenza italiana del G20 l’Italia ha voluto e ottenuto di inserire nel comunicato finale dei capi di governo delle 20 maggiori economi del pianeta l’impegno di mettere al centro delle azioni globali per la natura il target “30 by 30” di aree marine e terrestri.
Ovviamente, questo target da solo non basta. La comunità scientifica chiede ai Paesi sforzi maggiori per “ridurre ogni forma di minaccia alla biodiversità e di adottare strumenti e soluzioni per zintegrare il valore della natura nei settori produttivi”. Ciò significa che l’agricoltura, la pesca, il turismo, le attività estrattive e l’industria deve cambiare in maniera radicale il modo in cui produce, trasforma, usa le risorse naturali e tratta i rifiuti che ne derivano. La bozza del nuovo chiede ai governi del mondo di dimezzare l’uso attuale dei fertilizzanti e di due terzi quello dei pesticidi, di eliminare gli scarichi di rifiuti di plastica, di prevenire o ridurre del 50% il tasso di introduzione e l’insediamento di specie esotiche invasive, di utilizzare gli “approcci basati sugli ecosistemi (per esempio creazione di nuove foreste, ripristino di aree umide, agricoltura rigenerativa, difesa della vegetazione da disturbi biotici e abiotici) per contribuire alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici.
Vi sono inoltre target indirizzati alla mobilizzazione delle risorse finanziare, alcuni dei quali intendono reindirizzare, riutilizzare, riformare o eliminare gli incentivi dannosi per la biodiversità, riducendoli di almeno 500 miliardi di dollari all’anno, e aumentare le risorse finanziarie a favore della natura di almeno 200 miliardi di dollari l’anno e aumentare i flussi finanziari internazionali verso i paesi in via di sviluppo di almeno 10 miliardi di dollari l’anno.
Il summit
L’accordo dovrà essere approvato in occasione di un summit Onu che terra a fine anno a Kunming (Cina). Il summit era inizialmente previsto nel 2020, poi rinviato in continuazione a causa del Covid-19. Se da un lato ciò è servito a migliorare il testo e definire meglio i meccanismi di supporto all’attuazione dello stesso accordo, le condizioni abilitanti e le attività necessarie per il monitoraggio e il reporting e le azioni per la sensibilizzazione e la comunicazione, dall’altro ha fatto perdere il momentum favorevole che si era stabilito nel 2019. A questo punto occorre approvare l’accordo il prima possibile. E agire in fretta per piegare la curva della disintegrazione della biodiversità. Prima di vedere i risultati delle azioni per la sua tutela possono passare decenni. E non abbiamo molto decenni a disposizione se vogliamo raggiungere i target entro il 2030 e l’obiettivo generale entro il 2050 di «Vivere in Armonia con la Natura».
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