Fallita la possibilità di diventare (almeno per ora) presidente della Repubblica, Mario Draghi ha fatto sapere di non volersi far tirare per la giacchetta dalle forze politiche. Chi sperava che l’attuale presidente del Consiglio potesse assumere la guida di una federazione di centro che avrebbe compreso Forza Italia, i “cespugli” nati da essa, renziani e calendiani, è rimasto deluso.
Il premier lo ha detto, in maniera perentoria e anche un po’ stizzita, a margine della conferenza stampa sulla riforma del Csm: non ho bisogno di restare in politica, un lavoro me lo trovo da solo. Queste più o meno le sue parole.
Quale sia questo lavoro non è dato sapere, con ogni probabilità, se Sergio Mattarella reggesse al Quirinale per l’intero settennato, potrebbe essere un importante incarico a livello europeo. Molti saranno rimasti delusi perché il nuovo centro, in gestazione dopo le macerie lasciate nel centrodestra, ma non solo, dalla partita per la presidenza della Repubblica, potrebbe davvero diventare una realtà importante per gli scenari politici del prossimo futuro. Ancora di più se fosse costruita una riforma elettorale basata sul proporzionale che renderebbe un “polo” moderato decisivo per la vittoria elettorale. Ma il problema di questa eventuale aggregazione è quello della leadership. Mario Draghi, per carisma, esperienza e competenza, avrebbe messo d’accordo tutti. Più difficile che questo possa avvenire con Matteo Renzi, Carlo Calenda o altri, dando in ogni caso fuori gioco Silvio Berlusconi.
Ma questo affanno nel cercare in Draghi, un “Papa straniero” rispetto alla politica, l’”uomo della Provvidenza”, conferma la profonda crisi di leadership che attraversa tutti i partiti. E che rappresenta un paradosso visto che la stagione attuale è più mai caratterizzata da partiti “personali” che si identificano nella figura del “capo” e della “capessa”.
Succede nella Lega, dove però la posizione di Salvini appare meno salda rispetto al passato e soprattutto poco incisiva visto il costante calo di consensi segnalato dai sondaggi. Accade anche in Fratelli d’Itala. La guida di Giorgia Meloni è salda ed efficace, ma appare difficile, anche in caso di vittoria del centrodestra alle prossime elezioni politiche, possa essere lei ad assumere la guida del governo. In quanto al Pd, esercitare una leadership nel Vietnam delle correnti è una cosa da sport estremi. Dentro i Cinque Stelle Conte e Di Maio fanno a gara per dimostrare chi dei due sia più debole. Se Renzi non ha problemi a imporsi nella sua piccola Italia Viva che però è un trampolino di lancio troppo corto, Forza Italia ancora una volta è alle prese con l’impossibile successione a Berlusconi. Insomma di leader con il carisma e le qualità politiche per prendere in mano il governo del Paese non ce ne sono molti alle viste.
Forse perché, e qui il cane è costretto a mordersi la coda, una volta erano i partiti a esprimere i leader dopo una dura e difficile selezione. Chi riusciva a superarla poi aveva le carte in regola per governare e anche durare al vertice della sua forza politica. Con l’attuale soluzione, dopo le elezioni politiche del prossimo anno, e nel caso, tutt’altro che improbabile che né centrodestra né centrosinistra ottengano una maggioranza netta, potremmo ritrovarci anche Mario Draghi a palazzo Chigi. E in questo caso, davvero, il lavoro se lo sarà trovato da solo senza il bisogno di salire sul carro di qualche partito per affermare la sua leadership.
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