Se Vladimir Putin ambisce a fare il ministro del governo Meloni deve impegnarsi di più. Al di là delle differenze politiche, infatti, la sua uscita sulla “guerra in Ucraina che sarebbe meglio finisse” (trovare quello che l’ha iniziata, eh…), per quanto di un buon valore cialtronesco non può eguagliare l’ennesima performance di Francesco Lollobrigida. Il ministro all’Agricoltura che riporta in auge il famoso detto sulle “braccia rubate”, dopo le uscite sulla sostituzione etnica, sull’outing della propria ignoranza e a proposito dei poveri che mangiano meglio dei ricchi, è tornato alla ribalta per aver fatto fermare il treno Frecciarossa Roma-Napoli in ritardo, così da abbandonarlo e poter raggiungere in auto e, in orario, la propria destinazione. Insomma se uno dei personaggi di Enzo Jannacci il treno lo prendeva per “non essere da meno”, il ministro cognato del premier per lo stesso motivo ne è sceso. Ancora più spassosa se possibile la giustificazione di Lollo: “Può farlo qualunque cittadino”. Secondo le ricostruzioni giornalistiche, lo staff del ministro avrebbe chiamato l’Ad dell’azienda o il capotreno, tutte figure a portata di mano (su un treno ad alta velocità anche la seconda è una specie di entità metafisica) di chiunque. Al cittadino non membro del governo e privo di parentele illustri non resterebbe che fermare il convoglio con il freno di emergenza e beccarsi una sacrosanta denuncia per interruzione di pubblico servizio.
Al di là di tutto, anche dell’esigenza di non voler mancare a un appuntamento istituzionale importante (facciamo salva la buona fede al ministro), è possibile non capire che, a prescindere dai tuoi meriti che ci saranno certamente, se stai al governo e hai sposato la sorella del presidente del Consiglio devi andare non dove l’acqua e bassa, ma addirittura sotto e dimostrare che sei il più bravo di tutti. Invece Lollobrigida, forse complice il cognome che rimanda al divismo, riesce sempre a farsi notare, tanto che, a quel che si dice, la cognata sta pensando di esiliarlo al Parlamento europeo, magari la distanza potrebbe attutire le sparate. Del resto, uno i parenti mica se li può scegliere.
Resta solo da capire come mai, fatte salve le eccezioni che non mancano, magari a partire dai politici eletti dalle nostre parti, come mai questa destra di governo finisca sempre con l’assomigliare a quella geniale caricatura cinematografica di “Caterina va in città” del regista Paolo Virzì, con l’onorevole Claudio Amendola in grisaglia che presenzia a una matrimonio di amici tra camicie nere, braccia destre alzate e canti dei bei tempi che “ah non tornano più” come diceva Totò con un finto rimpianto ad Aldo Fabrizi in un’altra pellicola “I tartassati”. Pensare che FdI, al di là delle abiure più o meno di facciata, dovrebbe discendere anche dal Msi-Dn di Giorgio Almirante. Di quel partito, confinato per più di quarant’anni ai margini del cosiddetto arco costituzionale (parole della Prima Repubblica che sembrano aria pura in confronto a oggi) si può certo affermare che fosse più che nostalgico, reducistico, per alcuni aspetti anche con connotati eversivi. Ma non si può mettere in discussione il rigore e la serietà che offriva, almeno nella sua immagine pubblica. Il leader, Almirante appunto, ne era l’espressione. Quando arringava le folle ai comizi o dibatteva con i colleghi a Tribuna politica, non volava una mosca. Il tono era secco, l’eloquio serio e forbito. Non una parla fuori posto. Poi la svolta di Fiuggi voluta e realizzata da Gianfranco Fini, lo ha mandato in cavalleria. Ma non sarebbe male per Fdi, i cui esponenti delle generazioni più mature hanno militato nel Msi, riprendere almeno questa caratteristica degli antenati.
Il rigore, la serietà e la legalità sono da sempre patrimonio della destra. Se lo si dimentica la svolta rischia di diventare cialtronesca.
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