L’Ucraina del ’900 e di oggi: un luogo senza amore?

Intervista Yaroslav Trofimov, s crittore e giornalista, è capo dell’area Esteri del Wall Street Journal e autore di “Non c’è posto per l’amore, qui”, la storia di sua nonna e del suo Paese

La Storia è un tritacarne che travolge tutto quello che incontra. Debora, la protagonista di “Non c’è posto per l’amore qui”, lo scopre a sue spese in un’Ucraina sovietica dove i giovani sognano un mondo migliore che non arriva mai. In questo romanzo da poco pubblicato in Italia da La nave di Teseo, Yaroslav Trofimov, capo corrispondente per gli affari esteri del Wall Street Journal, ripercorre la storia di sua nonna e della sua famiglia ebrea-ucraina e del Paese che oggi, come ieri, è dilaniato dalla sofferenza. Ma che dal passato ha imparato una lezione che nessuno è disposto a dimenticare.

La scrittura di questo libro le ha richiesto molto tempo. Quanto e come mai?

Pensavo a scrivere questa storia già nel 2012. Però, quando ero a Kabul, nel 2014, e vivevo lì come capo degli Esteri per l’Afghanistan, è iniziata la prima invasione russa in Ucraina. Ero molto scocciato leggendo quello che succedeva, perché la narrativa russa ufficiale raccontava che gli ucraini erano nazisti, nazionalisti, spietati, parlavano dell’identità ucraina come di un crimine. Mi scocciava che questa narrazione fosse ripresa anche da tanti e analisti e giornalisti. Allora mi venne il desiderio di spiegare cosa è l’Ucraina davvero.

E lo ha fatto tramite la storia di sua nonna, come mai?

Avevo questa storia di mia nonna che mi sembrava interessante già di per sé, perché è la storia di questa donna che cerca un mondo migliore, con grande ottimismo, ma alla fine si schiaccia contro questo muro di Storia e cambia profondamente. E’ una storia universale.

Cosa le è servito per raccontarla?

Ho girato molto l’Ucraina e la Russia per scriverlo: ci ho messo otto anni. Ho fatto tante ricerche, perché volevo descrivere nella maniera corretta quel mondo. Ho finito di scrivere il libro nel 2022, poco prima dell’inizio dell’invasione.

C’è qualcosa della storia ucraina che ha scoperto e che non conosceva?

Certo, per esempio, c’è un passaggio nel libro, quando i protagonisti sono in Crimea e gli americani sganciano la bomba atomica in Giappone. Ho letto tutti i giornali russi e ucraini di quei tempi e mi sono reso conto che la popolazione sovietica per molto tempo non seppe quasi niente su questo evento. Fu così per mesi, finché anche Stalin non ebbe la sua bomba atomica. Non volevano che questo cambio negli equilibri mondiali trapelasse all’interno dell’opinione pubblica... Ecco, lavorando ho fatto tante scoperte di questo tipo, alcune piccole, altre più grandi.

Al termine del tour del suo libro, in Italia, si è fatto un’idea di cosa pensino dell’Ucraina oggi gli italiani?

L’Ucraina per gli italiani è un’incognita vera e propria. E lo è sempre stata, fino a tre anni fa. Tutto quello che si sapeva dell’Ucraina lo si sapeva tramite gli occhi della Russia: la storia russa, la letteratura russa, la cultura russa che hanno inglobato tutto quello che c’era di ucraino.

Nel libro spesso si dice che in quegli anni, gli anni ’30, ’40 e ’50, l’Ucraina era uno dei posti più letali al mondo: come mai?

Basta pensare ai numeri: l’Ucraina sovietica, cioè senza contare la parte che era in Polonia a quei tempi, aveva grossomodo 28 milioni di abitanti. Poi, nell’Holodomor, una carestia, artificialmente provocata da Stalin nel ’31-’32, sono morte minimo quattro milioni di persone, forse di più. Poi, subito dopo, ci sono state le rappresaglie che hanno eliminato tutta la classe culturale ucraina e molti altri: parliamo di quasi un milione di morti. Poi c’è stata la guerra, l’invasione tedesca, l’Olocausto e sono morte quasi dieci milioni di persone, tra soldati ucraini nell’esercito russo e civili, compresa la porzione di popolazione ebraica. Non tutti gli ucraini ebrei sono morti: qualcuno, come la mia famiglia riuscì a fuggire. Se sommiamo tutto però più della metà della popolazione era morta.

“Non c’è posto per l’amore, qui” è il titolo del suo libro. E oggi c’è posto per le cose belle della vita, in Ucraina?

Sì, c’è l’amore adesso e c’è anche al fronte, dove la gente si innamora e si sposa ancora. C’è l’amore per i figli, poi... ma anche lì è qualcosa che c’è sempre stato. Mia nonna Debora nel libro fa le cose che fa per amore dei suoi figli, anche quando si sposa con un uomo che non ama. Alla fine l’amore è quello che spinge la gente a sopravvivere.

Fino a che punto la guerra, la sofferenza e la perdita possono spingere un essere umano è un altro tema del libro, perché?

Nel libro c’è un dialogo tra Debora e sua madre in cui le due donne riflettono sul fatto che le circostanze di quel periodo avevano ridotto le persone in animali. Anche in quel momento però alla fine è l’amore che salva e che fa la differenza.

Cosa è cambiato oggi rispetto ad allora?

Quel che c’era in quei tempi era una resistenza individuale e non è che puoi fare grandi cose resistendo individualmente a uno Stato totalitario. Ora la situazione è molto meno grave, perché gli ucraini possono difendersi: hanno uno Stato che ha un esercito che li può proteggere. Per questo continuano a lottare fino in fondo: sanno che se sparisce questo Stato, allora veramente si ritorna a quel passato buio.

Anche i giovani lo sanno?

Sì, perché i russi non nascondono quello che vogliono fare. Se uno legge i giornali russi e le agenzie di Stato ufficiali, il programma è sradicare quello che chiamano il “virus dell’ucrainità”, cioè l’idea nazionale ucraina, eliminando fisicamente tutta la classe culturale, come hanno già fatto negli anni Trenta del secolo scorso. Tutti quelli che vivono oggi in Ucraina sono figli o nipoti di persone come Debora, che hanno già vissuto tutto questo. Credo che tutte le famiglie, anche in Italia, abbiano queste storie del passato che non vogliono rivivere.

Quanta parte di questo libro è fiction?

Ho scritto il libro due volte. Prima l’ho scritto seguendo molto la storia vera di mia nonna e ho cercato di ricostruire la storia dell’Ucraina quasi come un documentario. Poi però i miei agenti mi hanno esortato a scegliere tra il genere biografia e il genere romanzo. Ho scelto il romanzo perché ho pensato di poter dire di più con il mezzo della fiction, comunicando di più sul piano emotivo. Molte cose che fa Debora sembrano impossibili, invece sono accadute realmente.

Seguire questa guerra è stato diverso da altre che ha coperto come giornalista?

Ho notato due differenze. La prima è che è molto più facile seguire questa guerra perché è molto bianca e nera. Non è come l’Afghanistan o l’Iraq dove si faticava a distinguere i buoni dai meno buoni... l’Ucraina non ha fatto male a nessuno, è stata invasa e sta resistendo con metodi puri. Non credo che ci sia stato un conflitto così moralmente chiaro della seconda guerra mondiale. Dall’altro lato, essendo nato lì, parlando la lingua e conoscendo il Paese, ho pensato in questi due anni passati al fronte che sarei stato molto più utile lì di quanto non lo sia stato altrove. Per questo mi sono spinto oltre certi limiti di rischio che mi ero dato in passato.

Debora è un prodotto della società di allora. La società ucraina oggi com’è?

La generazione ucraina di oggi è una generazione di giovani, soprattutto, ed è la generazione che non ha mai vissuto nel mondo sovietico, che ha vissuto in un Paese, anche se povero, libero. Una generazione che non ha paura di parlare della politica, della vita. È una generazione che si rispetta e rispetta gli altri, e questo è il segreto della resistenza: la gente non combatte perché lo Stato glielo dice, combatte perché lo vuole. E questo la società ucraina di oggi lo fa perché conosce bene il proprio passato.

Debora credeva nella promessa di un mondo migliore, i giovani ucraini credono nella promessa dell’Europa?

Sì, specialmente oggi, in un mondo in cui le grandi potenze parlano di ritorno agli imperi e dove la forza è l’unico argomento sul tavolo, l’Unione Europea crede ancora nella democrazia e nella tutela dei diritti umani.Forse i giovani ucraini sono rimasti un po’ delusi, ma credo che l’Europa oggi stia cambiando. Lo si vede anche dal divorzio con gli Stati Uniti che è anche un divorzio di valori. Io sono molto ottimista: penso che gli europei abbiano tutto, dal punto di vista economico, tecnologico e umano, per tutelare la propria libertà, se c’è la volontà politica. Zelensky quando è venuto a Monaco ha detto una cosa molto interessante: se non vi piace Bruxelles, guardate cosa c’è adesso a Mosca. E la scelta è questa, alla fine dei conti.

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