E il popolo? E la gente? E l’uomo comune? E l’uomo della strada? Dov’è finito l’uomo della strada, unica verità, unica saggezza, unica purezza, unica sorgente limpida e incorrotta alla quale abbeverare i cavalli della politica nuova, che combatte, assedia e sconfigge i malvagi padroni del vapore? Dov’è finito l’uomo della strada, che informava e modellava e corroborava l’azione di governo dei nostri giovani statisti tutti d’un pezzo, che il loro bello era essere proprio come noi?
Ogni tanto uno si volta, ma non li trova, ossi di seppia, madeleine della memoria, fantasmi diafani abbandonati sul bagnasciuga. E più passano i giorni, più svaniscono dalla mente, un po’ come accade con certi anziani parenti che da troppo tempo non danno notizie di sé (a proposito, come starà zia Carolina?). Ma è davvero possibile che sia tutto finito, sia finita quella bella stagione garrula e cangiante e svolazzante che ieri ci illuse e ancora oggi ci illude, ma che forse non c’è più? E i comizi? E i predellini? E le adunate oceaniche? E le felpe? E i selfie? E i “ciaone”? E quei pomeriggi impegnati a tuittare, postare, facebuccare, instagrammare, e i nostri statisti al mercato coperto e i nostri statisti a papparsi un calzone farcito alla pizzeria “O Ciccillo” e i nostri statisti sulle ciaspole tra le nevi e i nostri statisti sul gozzo del pescatore di sardine e i nostri statisti in fuga romantica con la fidanzatina e i nostri statisti in fuga romantica con il fidanzatino e i nostri statisti allo stadio a insultare l’arbitro, che dai, in fondo, il calcio è uno sport popolare?
E le ruspe? Che si fa adesso con le ruspe e gli zingari e i negri e i musulmani e quelli con il naso a becco e i barconi e Lampedusa? E le terrazze? Che si fa adesso con le terrazze che abbiamo abolito la povertà, e i sussidi e i pensionamenti e i prepensionamenti e i bonus e le sovvenzioni e gli scivoli e l’Ilva e l’Alitalia? E le salamelle? Come facciamo senza le salamelle, unico elemento di continuità politica di questo scombiccherato paese che ha passato di tutto, si è sorbito di tutto, si è venduto a tutti, ha rinnegato tutto e il contrario di tutto, ma guai a chi gli tocca le salamelle alla festa estiva del partito, che da quelle che servivano a finanziare il Pci (e giù risate…) a quelle che servono a finanziare la Lega (e giù risate…) - mentre invece i 5Stelle si finanziano con il taglio dei loro stipendi (e giù risate…) - restano l’unica maieutica della nostra repubblica delle banane?
E il popolo sovrano? E la sovranità del popolo? E la casta e i poteri forti e la trilaterale e le banche e i banchieri e l’Europa matrigna e la tecnocrazia e la burocrazia e la massoneria e l’euro malvagio e quando usciamo dall’euro e quando aboliamo l’euro e quando incendiamo l’euro? Non dovevano finire tutti al muro, tutti al rogo, tutti appesi a piazzale Loreto questi qui, che adesso era finalmente scoccata l’ora della gente, della gente comune, della gente come noi, della gente scritto con tre “g”, che chi aveva studiato era un cretino, chi aveva una professione un ladro, chi una competenza un venduto e c’era la gara a chi era più analfabeta di andata e ritorno? Che si fa ora con queste torme di diseredati ai quali i nostri statisti hanno tutto promesso, tutto permesso, tutto concesso? Che ci fanno ora tutti i nostri eroi di centro, di destra e di sinistra, senza dimenticare i cosiddetti postideologici - che invece sono i più ideologici di tutti - in questo governo di grembiuli, di capitalisti, di mandarini dell’apparato della peggio Europa tedescofona e francofona? Ma non dovevamo spezzargli le reni a quei due staterelli lì?
E poi noi, noi del rutilante circo mediatico, come faremo per la stagione primavera-estate? E i mitici talk show che già al secondo minuto partiva il primo “lei non sa chi sono io!” e il primo “badi a come parla!” e al quinto volavano i gatti morti sul palco e le pizze in faccia tra il capogruppo al Senato e il sottosegretario alla Difesa, che “io non l’ho interrotta e quindi lei non mi interrompa!”, e tutti lì a sbavare e schiumare e ululare e i collegamenti con la piazza, ah, gli anglosassoni collegamenti con la piazza, che lo Stato dov’è, lo Stato cos’è, lo Stato non c’è? Come faremo senza il nostro comizietto quotidiano nel quale il primo dà del ladro al secondo che dà del farabutto al terzo che dà del maiale al quarto, con tutti i relativi autorevoli giornalistoni in quota Cencelli, che chissà come mai danno sempre ragione a quello che gli ha fatto fare carriera e sempre torto a quello che ha fatto fare carriera a quell’altro?
Ora, è vero che quando la patria chiama e la crisi ci porta verso il disastro finale bisogna rispondere presente ed è anche vero che dopo la guerra pure De Gasperi e Togliatti hanno governato assieme.
Ma l’unica piccola differenza - a parte il confronto tra la statura dei due rispetto al nanismo congenito dei nostri, che a pensarci all’inizio ti viene da piangere, poi ti viene da ridere, da sghignazzare, da smascellarti dalle risate - è che De Gasperi e Togliatti hanno fatto un accordo di ricostruzione nazionale rimanendo se stessi. Non è che il primo si è messo a urlare “cloro al clero!” e a dichiarare a Floris che era a favore dell’abolizione della proprietà privata e il secondo, che è sempre rimasto comunista di quelli che mangiavano i bambini - altro che i carognini dell’oratorio del Pd – non è andato da Giletti a dire quanto era bello il modello di sviluppo americano e che i minatori dovevano starsene zitti altrimenti faceva liberare i cani.
I compromessi, anzi, gli armistizi, si fanno tra nemici, che tali rimangono, anche se fanno un piccolo tratto di strada assieme, senza perdere però neanche un grammo della loro identità, della loro storia, della loro cultura e, soprattutto, del loro onore. Quelli che giravoltano da destra a sinistra, dalla patria all’Europa, dal popolo alla casta - e viceversa - a seconda di come spira il vento sono un’altra cosa. E sappiamo tutti che cosa.
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