la pace si impara
una lunga strada

parirà la guerra nel quadro della storia? È una domanda alla quale la saggezza suggerisce di dare una sola risposta: qualunque sia nel futuro la sorte degli uomini, nostro dovere è di lavorare perché la guerra sia considerata, qual è, un delitto contro la ragione e contro l’amore; perché la guerra, quale mezzo di presunta risoluzione mediante la forza dei conflitti, venga bandita dal diritto comune. La storia ha visto sparire principi e condizioni creduti come connaturali all’uomo e alla società: quali la schiavitù e la servitù; ha visto spingersi sempre più lontano le aree dei conflitti armati: dai clan alle famiglie, ai feudi, alle città, alle regioni, fino agli stati ed – oggi – ai continenti.

È utopistico pensare che il globo terrestre, impicciolito dai mezzi di comunicazione moderni, si concreti in principi comuni ed in istituzioni universali capaci di convocare e vigilare la coesione pacifica delle genti? Ora è la coscienza che al quesito se la guerra potrà o no sparire dalla faccia della terra, risponde con l’invito ad operare, ciascuno e tutti, «in modo che» la guerra non debba più insanguinare il cammino dell’umanità.

«Guerra mai più, guerra mai più», aveva proclamato Paolo VI nel suo messaggio ai governi ed ai popoli dalla cattedra internazionale dell’Onu, echeggiando con altri suoi fondamentali messaggi di pace, lo stesso insegnamento evangelico ed il secolare magistero della chiesa e soprattutto dei pontefici moderni.

Pedagogia

Da questo ansioso ed assiduo appello di pace alle genti, nacque nel ministero di Paolo VI l’iniziativa della “Giornata mondiale della pace”, da celebrare nella prima domenica di gennaio, per un universale ripensamento all’inizio di ogni nuovo anno, sulle responsabilità di ciascuno verso l’opera della costruzione e della difesa della pace, secondo una metodologia di tempi lunghi che il Papa concepì come una «pedagogia della pace».

Questa pedagogia ha per fine di formare in ogni uomo i convincimenti profondi, le determinazioni operose, le scelte libere capaci di influire decisamente sulla psicologia comune, sulla opinione responsabile dei popoli e dei loro reggitori, nella convinzione che il dato morale è prevalente e decisivo per la sorte della pace.

La pace nasce dal di dentro di ogni uomo: è un frutto dello spirito; è una proiezione della virtù sociale inerente il fondamento stesso della convivenza; e cioè la pratica della verità, della giustizia, della carità, della lealtà, dell’altruismo, della misericordia, del perdono, dell’amore. Proiettate nel rapporto tra le genti, ispirando a queste virtù la condotta dei poteri, la conciliazione sarebbe sempre possibile. La lacerazione dell’odio e la lotta delle armi sarebbero bandite.

Educare, dunque, alla pace è la premessa per chiunque professi ideali di umana conciliazione, speranze di sociale liberazione, visioni di libertà e di progresso morale.

Il messaggio di Paolo VI per l’anno 1973, radiotrasmesso in questi giorni si svolge su un titolo suggestivo e di per sé già esauriente: «La pace è possibile». Ed il suo assioma è questo: «La pace è possibile, dunque è doverosa».

La prima parte del messaggio è proprio l’analisi di questa società senza pace, di questa convivenza di pace contradditoria e precaria. Al punto che Paolo VI riscontra come persino nelle guerre e violenze e terrorismi ed eversioni in corso, ci si rassegni a rottami ed isole di pace, in assenza della pace senza aggettivi, universale, stabile, leale, riconosciuta. Ma appunto da questo quadro sociale in perdita, esplode più alta e perentoria l’invocazione di pace, il monito di pace, la esigenza di pace.

Realismo

Il quadro del Papa è realistico anche nella evocazione dei dolori, dei lutti, degli strazi, dei delitti nonché delle distruzioni che guerre atroci e serpeggianti nel mondo, suscitano col loro corteo di devastazioni, di sangue, di episodi umani pietosissimi, quali quelli degli emigrati, dei fuggiaschi, dei banditi, degli emarginati e delle vittime.

Nel contesto però di questa storia sanguinante, un dato fondamentale si conferma positivo e incuorante: la guerra pertinace e odiosa nel suo esistere materiale, è però già condannata, bandita, rifiutata, espulsa dalla coscienza morale dei popoli.

La civiltà moderna ha condannato e condanna la guerra: nessun dubbio esiste ormai, in ogni intelletto o in ogni cervello che sia normale, che la guerra non è e non può essere il mezzo per risolvere le controversie insorgenti; che la guerra non risolve ma aggrava i problemi; che la guerra moderna è distruttiva sino ai limiti della sopravvivenza comune e per se stessa illecita; che la guerra è inconciliabile con la conoscenza del valore della persona e con la coscienza del nostro essere di uomini razionali; che la guerra è l’opposto della visione cristiana fondata sull’amore e di ogni umanesimo degno di questo nome.

Il messaggio di Paolo VI analizza le ultime forme assunte dalle aberranti ideologie dure a morire ed esorta a vivere nella comprensione del loro errore e nel convincimento che «la pace è possibile».

A tal fine, ribadendo che «la pace è innanzitutto una condizione di spirito», Paolo VI sottolinea che la pace è possibile se ciascuno comprenderà – come già il Papa aveva detto – che «la pace è difficile» ed essa è la virtù dei forti, non già una forma di passività o di acquiescenza allo «statu quo» o peggio al male.

Anche il felice esito delle istituzioni internazionali a fine di pace dipende appunto da questa coscienza che per la pace si deve operare, soffrire, volere, pregare. Dice Paolo VI: «Sì, ripetiamo, la pace è possibile, perché in queste istituzioni essa ritrova i suoi caratteri fondamentali, che una errata concezione della pace facilmente fa dimenticare: deve essere razionale, non passionale, magnanima, non egoista; la pace deve essere non inerte e passiva, ma dinamica, attiva e progressiva a seconda che giuste esigenze dei dichiarati ed equanimi diritti dell’uomo ne reclamano nuove e migliori espressioni; la pace non deve essere debole, inetta e servile, ma forte sia per le ragioni morali che la giustificano, e sia per il compatto consenso delle nazioni che la devono sostenere. Questo è un punto estremamente importante e delicato: se questi moderni organi, da cui la pace deve avere ragione e tutela, non fossero idonei alla propria funzione, quale sarebbe la sorte del mondo? La loro inefficienza potrebbe generare una delusione fatale nella coscienza dell’umanità». Il messaggio della pace 1973 ripete, quasi a conclusione, un altro ben noto aforisma di Paolo VI: «Occorre avere il coraggio della pace».

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