Padre assolto davanti al giudice: «Non ha maltrattato il figlio»

L’udienza Accusato di aver picchiato il ragazzo, ma dai documenti emerge una storia differente

L’accusa formalizzata era molto pesante: ad un padre di origini pakistane, 49 anni, che nel 2011 aveva portato in Italia la famiglia, erano contestati maltrattamenti in famiglia in danno del figlio di appena 15 anni, ma anche gravi lesioni che avevano portato alla frattura di un polso e ad un «regime di vita penoso» con schiaffi, pugni e l’impedimento a frequentare i coetanei.

I racconti del ragazzo erano stati raccolti dalla polizia giudiziaria il 6 maggio del 2021, dopo che il minore vi era stato accompagnato da un assistente sociale del Comune che si occupava di lui. A bocce ferme, già in quella deposizione compariva però una frase, l’ultima, sospetta: «Per via della cultura della mia famiglia, nessuno vi confermerà mai le mie dichiarazioni». Ora, per quel racconto, il padre è finito in queste ore davanti ad un giudice dell’udienza preliminare di Como, Carlo Cecchetti, che alla fine – dopo aver analizzato le carte – ha ascoltato le richieste della difesa (avvocato Pier Paolo Livio) decidendo per il non luogo a procedere e scagionando di fatto il genitore. Non un orco che picchiava e brutalizzava il figlio, dunque, ma un genitore che nulla aveva fatto di così devastante per la crescita del figlio.

Decisivo per la svolta di questo complicato fascicolo penale, è stato il Tribunale dei Minori che in una nota del 16 luglio 2021 aveva sottolineato le continue fughe del quindicenne dalla struttura protetta dove era stato collocato proprio per difenderlo dal padre. Il giovane, tuttavia, aveva preferito – raccontava il Tribunale – fare rientro volontariamente dal padre, «scegliendo la famiglia “violenta” alla comunità protetta». La difesa, nella propria ricostruzione dei fatti, aveva anche fatto notare come le contestazioni non fossero nemmeno così numerose, anche perché spalmate in almeno 10 anni, sostenendo come i racconti del ragazzo «non superassero il vaglio della credibilità». Una tesi sposata anche da una psicologa che non aveva ritenuto attendibile il quindicenne.

Insomma, con questa mole di documenti il giudice ha scelto di scagionare il genitore che tra l’altro, da quanto è stato possibile ricostruire, ha già riaccolto il figlio in casa da circa un anno con una convivenza ora senza alcun problema. Secondo quanto era emerso dagli atti, le botte che il figlio raccontava arrivavano spesso dopo richiami scolastici, libri dimenticati a casa, giustificazioni (sempre scolastiche) non presentate. Una vicenda che tuttavia, per il giudice, non sarebbe affatto configurabile nell’ipotesi di reato dei maltrattamenti in famiglia.

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