Quei batteri nelle urine. Il pericolo è la cistite, un disturbo femminile

La cura della vescica In alcuni casi gli episodi si ripetono. In presenza di sintomi è bene rivolgersi allo specialista. Attenzione al “fai da te”, soprattutto con gli antibiotici

La cistite è una problematica frequente nella popolazione, soprattutto tra le donne. In alcuni casi gli episodi possono ripetersi nel tempo determinando un disturbo ricorrente e recidivante. Fondamentale, in presenza di sintomi, rivolgersi a uno specialista e evitare il fai da te, soprattutto per quanto riguarda l’uso di antibiotici.

La cistite è un’infiammazione della vescica provocata da batteri o altre cause infiammatorie. «Si parla di cistite recidivante – spiega Diego Riva, ginecologo e uroginecologo della Smart Clinic all’interno del centro Cantù 2000 – se gli episodi compaiono più di due/tre volte l’anno e più di due volte in sei mesi. Negli altri casi si parla, invece, di cistite occasionale».

Come sottolinea lo specialista è fondamentale precisare che le urine non sono sterili. «Una urinocoltura – aggiunge – viene considerata negativa, quindi, normale, se ci sono meno di diecimila batteri per millilitro, il che vuol dire che in un litro di urina ci sono dieci milioni di batteri. Una persona può avere un risultato positivo e non avere sintomi, ma anche avere un risultato negativo e avere sintomi. Se il paziente non ha sintomi e emergono dei batteri in eccesso durante l’esame non si deve fare nulla». Diverso, invece, quando la persona ha i sintomi tipici della cistite e cioè: bruciori alla minzione, aumentata frequenza minzionale, senso di contrazione della vescica, cattivo odore delle urine, fino a febbre, dolore ai fianchi, nausea e sangue nelle urine.

«Se il paziente non ha sintomi e emergono dei batteri, come detto, non deve fare assolutamente nulla – dice ancora Riva – in questi casi, infatti, si parla di batteriuria asintomatica. Se si prende l’antibiotico in questi casi, infatti, si rischia di fare dei danni perché si uccidono i batteri “buoni”, cioè sensibili alle terapie, e si moltiplicano solo i batteri resistenti». Questa indicazione vale ovviamente solo per quelle che vengono definite “infezioni non complicate”, quindi per pazienti non in gravidanza, dove l’urinocoltura positiva va sempre trattata, e per i pazienti che hanno delle complicanze alle vie urinarie, come uomini con ipertrofia prostatica che non riescono a svuotare in modo corretto la vescica o persone con problematiche renali.

Mentre la forma acuta è tipica dell’età giovanile, la forma ricorrente e quella complicata aumentano con l’aumentare dell’età. Infatti, accanto ad una maggiore frequenza di cistite acuta e ricorrente nei soggetti di sesso femminile ( rispettivamente 78 e 19% nelle donne vs. 57 e 9% negli uomini), si può rilevare una maggiore frequenza di cistite complicata nei soggetti di sesso maschile, statisticamente significativa.

«Quando ci sono sintomi evidenti di cistite – aggiunge lo specialista – non è sempre necessario sottoporre il paziente a urinocoltura. Si può partire, infatti, con una terapia “ ragionata” di primo livello che deve essere fatta con antibiotici “vecchi”, quindi, antibiotici che ormai vengono utilizzati solo in questi casi, ma che sono ancora attivi contro questi batteri, cioè la fosfomicina e la nitrofurantoina. Questi hanno una buona efficacia e consentono di tenere come terapia di riserva antibiotici più attivi come i chilononici e la ciprofloxacina». Proprio quest’ultima, come sottolinea Riva, viene utilizzata troppo spesso in modo errato. «Bisogna tenere presente che sono molti anni che non vengono più sperimentati e messi in commercio nuovi antibiotici – spiega il ginecologo -. Se un paziente, di fronte a una cistite non complicata, prende antibiotici come la ciprofloxacina e ha una recidiva, i batteri diventano resistenti e non abbiamo altre armi per combatterli. L’antibiotico resistenza è un grosso problema e causa ogni anno moltissimi morti». Ogni anno l’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) pubblica un report sullo stato delle resistenze in Europa. I dati relativi all’Italia sono allarmanti. Nel 2018 la resistenza dell’Escherichia Coli è arrivata al 64,5% per le aminopenicilline; al 41% per i fluorochinoloni; al 28,7% per le cefalosporine di terza generazione; la situazione è ancora più grave per quanto riguarda la Klebsiella Pneumoniae con una resistenza del 52,7% ai fluorochinoloni e del 53,6 % alle cefalosporine di terza generazione. Come si vede più di un paziente su due rischia di avere un’infezione da un germe resistente e quindi di dover essere ricoverato in ospedale in gravi condizioni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA