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Lunedì 30 Dicembre 2024
Ridisegnare le comunità: «Il ruolo degli spazi urbani»
Intervista a Charles Landry ha coniato il concetto di “creative city” sulle alleanze pubblico-privato per le città
La città come casa della comunità: così ha immaginato il futuro urbano Charles Landry, l’inventore del concetto di “creative city”, invitato in Italia dal Salone del Mobile per introdurre con un suo intervento la presentazione della ricerca Eco (Sistema) Design Milano. La sua idea di città ideale, identitaria e aperta al mondo, si può ridisegnare su ogni realtà, anche su Como che attraversa una fase di profonda trasformazione urbana.
Cosa costituisce l’identità di una città?
La sua cultura, è questo elemento irriducibile e irripetibile che conferisce a ogni città la sua identità più autentica. In questa logica immagino la città come la “casa” della sua comunità, che la pensa e la vive non come un posto nel mondo ma per il mondo, per il bene comune. Perché la città è fatta di tante cose: persone, attività, infrastrutture.
Questi elementi però vengono di rado presi in considerazione tutti insieme, a 360 gradi. Bisognerebbe essere più ambiziosi e pensarsi “per” il mondo. In apparenza cambia solo una preposizione, in realtà la differenza è sostanziale. Si tratta di avere una prospettiva etica e non limitarsi a curare la reputazione di città “cool” e alla moda.
Come?
Per rendere la città un posto migliore è necessaria una collaborazione radicale tra tutte le sue parti: il settore pubblico, i privati, il terzo settore, il mondo accademico. Tutto si può disegnare, non soltanto gli oggetti ma anche atmosfere, concetti, paradigmi. Francoforte, per esempio, sarà la Capitale Mondiale del Design nel 2026 e ha scelto come tema “De-sign for Democracy. Atmospheres for a better life”.
Quali sono gli ostacoli che impediscono di realizzare città con questa visione?
Gli ostacoli sono le cattive idee, i diversi interessi particolari, la polarizzazione delle posizioni ma soprattutto la mancanza di fiducia gli uni negli altri. Suggerisco di lasciare spazio ai giovani, alle future generazioni, che sanno fare scelte coraggiose e sanno esplorare il futuro con cui sono in connessione diretta. Lasciare che provino e che sbaglino anche perché dagli errori possono imparare e quindi crescere, migliorare. Lo spazio per la sperimentazione, per la creatività libera, fluida, incoraggiata è già la dimensione giusta per la costruzione di una città che si fa luogo di comunità.
In tutto questo la dimensione tangibile e concreta della città viene dopo, prima viene l’aspetto intangibile delle relazioni di fiducia che si creano in un gruppo di persone che condividono un territorio ma soprattutto un’idea, un modo di essere, una identità.
L’incremento del turismo sta profondamente cambiando il profilo di alcuni centri storici e tra questi c’è Como: in quale modo è possibile avvalersi di questa opportunità senza perdere il senso di appartenenza alla città?
Domandandosi quali sono le ambizioni della propria città, non come un posto nel mondo ma per il mondo, aperta e nello stesso tempo capace di trasmettere i suoi valori che la rendono unica e, come tale, interessante in modo universale.
L’omologazione rende invece succubi di un over tourism ingovernabile, la peculiarità di una città, il suo essere custode di una comunità viva la rende interessante e anche capace di convivere con il resto del mondo senza perdere se stessa.
Si deve essere capaci di raccontare un’altra storia, la propria.
Anche in questo caso, come si riesce a essere aperti al mondo e nello stesso tempo custodi di una propria unicità?
Attraverso la capacità di ascoltare, di connettere gli individui di una comunità, di costruire tra loro relazioni forti, di fiducia che possano rendere la comunità che abita la città resistente. Va guardata, curata e protetta la sostanza della città, ovvero le persone che la abitano. La forma, ovvero il disegno urbano, viene dopo e in conseguenza e va pensato per raccontare una storia al mondo. E nel caso delle città italiane è una storia di bellezza straordinaria. In una fase così difficile, critica, sofferta, è il momento per essere dei pionieri e risvegliare la creatività e l’energia delle comunità. Il design in questo può aiutare, immaginando spazi pubblici dove si esprime l’idea del vivere insieme che ci si vuole dare, tenendo insieme anche i valori etici, la sostenibilità, la circolarità, la possibile collaborazione tra arte, scienza, tecnologia e in tutto questo la regia appartiene alle istituzioni cittadine. A loro spetta il compito di gestire alcune scelte, di ascoltare, di governare la burocrazia perché sia garante di democrazia e non un limite. Agli amministratori spetta orchestrare un ecosistema vivente, di cui l’aspetto fisico urbano è solo la parte di un tutto.
All’idea di creatività si associa qualcosa di spontaneo, ma si può incanalare in modo che porti benefici a un’intera comunità?
Si tratta di una combinazione di duro lavoro e di intuizioni. Credo però che la vera sfida sia avere una creatività diffusa.
Non tutti sono creativi allo stesso modo, ma tutti possiamo impegnarci per diventare più creativi di quello che già siamo. Non penso neppure che si debba esserlo 24 ore al giorno e 7 giorni su 7, intendiamoci. Bisogna trovare il giusto equilibrio tra pensiero divergente e convergente, tra apertura mentale e capacità di rimanere focalizzati sull’obiettivo.
Nel 2020, anno di cesura, il Covid come ha cambiato il modo di vivere lo spazio urbano?
Ci sono stati grandi cambiamenti, soprattutto legati al nostro rapporto con le distanze. Molte persone lavorano da casa, o comunque non sono costrette ad andare in ufficio tutti i giorni. Questo ha alleggerito la pressione sulle grandi città favorendo i centri più piccoli, per lo meno i più intraprendenti. Faccio un esempio vicino a me. Stroud è un ex villaggio operaio nella campagna del Gloucestershire dove prima della pandemia c’era già un certo fermento: l’artista Damien Hirst ha lì il suo studio, ci sono una delle più importanti fonderie artistiche del paese e un festival internazionale dedicato ai tessuti. Nel 2021 questa cittadina è stata eletta miglior posto in cui vivere nel Regno Unito. Certo, i prezzi sono saliti alle stelle.
A questo proposito, sembra che rigenerazione urbana che riguarda oltre a Milano anche Como porti a un aumento dei prezzi delle abitazioni e quindi a un cambio di tipologia di popolazione della città, quanto questo incide sull’identità stessa della sua comunità?
Questo è un grande problema che il mercato non può risolvere da solo. Come dico spesso, la sua energia dovrebbe essere convogliata verso obiettivi più generali attraverso un sistema di regolazione pubblica e di incentivi. In questo scenario il ruolo degli artisti e delle industrie creative è fondamentale: l’espressione artistica e la creatività sono cose fantastiche e rendono le città più vibranti, anche se nel momento in cui una città diventa più vibrante comincia ad attrarre più persone e si innesca un processo di gentrificazione. Però tutti hanno bisogno di vivere in posti piacevoli, non solo le élite. Ci deve essere un’alleanza tra il settore privato e il pubblico, inoltre non bisogna tralasciare cose magari meno “glamour” dell’arte ma ugualmente importanti come l’housing sociale e le varie forme di habitat cooperativo.
In un TED Talk di qualche anno fa lei ha detto che una delle prime cose che fa quando visita una città nuova è guardare i graffiti e le scritte sui muri, come mai?
Mi piacciono i graffiti perché consentono a chiunque di esprimersi, chiunque può usare un semplice muro come se fosse una galleria d’arte. Spesso, poi, raccontano storie di frustrazione. Tra i miei esempi preferiti, quelli che uso spesso nelle mie presentazioni, ce n’è uno che dice “Wasted Youth”, un’espressione che può voler dire due cose: gioventù sprecata oppure gioventù intossicata da alcool e droghe. Ho cominciato proprio così a interessarmi alla creatività alla scala della città.
Quando ero giovane avevo l’impressione che le persone intorno a me fossero come bloccate, che non riuscissero a esprimere appieno il loro potenziale. Mi sono chiesto se ci fosse un modo per aiutarle e se fosse meglio farlo a livello individuale oppure cercare di mettere in moto una sorta di energia collettiva.
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