«Ridotto sul lastrico dalla ’ndrangheta
Ho perso azienda, casa e moglie»

Vertemate con MinoprioPer un debito non suo si ritrova nella rete di Ficarra e Tagliente. Fu anche costretto a comprare a prezzi record due appartamenti dell’Edilbulldog di Iaconis

La signora Rita, a un certo punto, ha detto che poteva bastare. Dopo aver perso ogni cosa, compreso l’amore per suo marito, decide che è il momento di bussare ai carabinieri. Per raccontare un incubo durato 9 anni. E cominciato nel 2009, quando l’ex consorte si era appena lanciato nel mondo dell’imprenditoria prelevando un’azienda attiva nella commercializzazione e nell’installazione di impianti di climatizzazione , con commesse in giro per il Nord Italia. Le prime nuvole, sul futuro dell’imprenditore e della sua famiglia, portano il cognome Ficarra.

L’incontro fatale

Roberto (l’ex marito) mai avrebbe raccontato ai detective dell’antimafia come la ’ndrangheta gli ha svuotato la vita. Oggi, lui, lavora come magazziniere. All’epoca amministrava la sua impresa cercando di far fronte ad alti e bassi di liquidità. Il 7 dicembre 2009 si presentano in sede il titolare di una ditta di Vertemate (a sua volta vittima di estorsione) assieme a Domenico e Daniele Ficarra: «Ricordo che erano soggetti originari di Gioia Tauro e rivendicavano con fierezza le loro origini calabresi. Rivendicavano un credito di circa centomila euro da parte di questa società di Vertemate» nei confronti del vecchio proprietario della società acquisita da Roberto. «Mi facevano presente che adesso la ditta era stata rilevata da loro e che quindi il debito che aveva» il precedente proprietario dell’azienda di Roberto «era transitato a loro, e pertanto io ero un loro debitore. A questo punto iniziavano a fare delle vere e proprie intimidazioni: mi facevano capire che erano armati mostrando il borsello che aveva addosso il signor Ficarra, contestualmente facendomi presente che loro avevamo il modo sicuro per recuperare il denaro».

Il giorno dopo Roberto è costretto a recarsi assieme al vecchio titolare della sua impresa a Vertemate, nella ditta che i Ficarra dicono di aver acquisito: «Veniva stabilito che io dovessi sottoscrivere al proprietario» della società comasca «dodici assegni dell’importo di 10mila euro l’uno, che avrei dovuto pagare mensilmente per un anno». In realtà Roberto, per paura, è caduto in un tranello perverso.

L’inganno perverso

«Qualche giorno prima della scadenza del primo assegno, si presenta in ufficio Marcello Ficarra, fratello dell’uomo che avevo conosciuto in precedenza. Mi chiede se potevo fargli un piacere in quanto aveva un amico presidente del Cadorago calcio che aveva bisogno di una sponsorizzazione». L’amico in questione è Alessandro Tagliente, pure lui tornato in cella martedì mattina con l’accusa di associazione mafiosa, considerato braccio destro del boss della locale di Fino Bartolomeo Iaconis.

Roberto accetta - e stacca altri assegni - e in quella circostanza riceve una promessa di aiuto: «Mi promise che si sarebbe attivato per aiutarmi nel pagamento del debito nei confronti» della società di Vertemate. Il fatto è che, nel frattempo, anziché rispettare la scadenza mensile i Ficarra usano gli assegni di Roberto per pagare una serie di società tra le quali anche una delle cooperative di Pravisano, poi fallite. E così in pochi mesi i 120mila euro in assegni vengono messi in protesto creando non pochi guai all’imprenditore. Ma la ’ndrangheta si dimostra sempre pronta ad aiutare. Roberto si ritrova al bar Bulldog di Cadorago con Marcello Ficarra che gli presenta Tagliente che «con fare cordiale e rassicurante, mi disse che avrebbe cercato di aiutarmi, dandomi dei soldi in contanti». L’imprenditore riceve 20mila euro, e pochi mesi dopo Tagliente - secondo il suo racconto - gli fa sapere che il debito nei suoi confronti è salito a ben 60mila euro (di cui 40mila di interessi).

Ma anche qui la soluzione c’è: «Ficarra promettendomi che il mio debito nei confronti del Tagliente sarebbe stato ridotto, mi propose di acquistare due appartamenti a Cadorago in via Cavour, di proprietà della Edil Bulldog, i cui soci erano Bartolomeo Iaconis e la moglie di Tagliente, Elisabetta Rusconi.Gli dissi che avrei accettato, ma che non avevo assolutamente denaro per poter fare l’operazione. Tagliente mi disse che aveva un amico direttore di banca che mi avrebbe agevolato nella concessione del mutuo».

Risultato: Roberto accende un mutuo da 280mila euro che non sarà in grado di ripagare. I Ficarra e Tagliente spariscono, l’imprenditore fallisce. Gli appartamenti comprati vanno all’asta per una cifra molto inferiore a quella pagata. Roberto perde tutto: i due immobili di Cadorago, la ditta di impianti di climatizzazione, la casa famigliare, il lavoro, la moglie.

«Ho detto più volte a Tagliente che mi stavo esponendo irrimediabilmente dal punto di vista economico e che non ottenevo alcun beneficio dal suo aiuto. Ha sempre glissato l’argomento e rimandato ad altra occasione una revisione dell’intera situazione». Poi il tempo è finito.
P.Mor.

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