Scuole da riformare, ma senza accorciarle

Ridurre le superiori a quatto anni non serve, però il triennio deve formare alle responsabilità della vita trattando i ragazzi da adulti. Non ha senso controllare i compiti in quinta

L’inizio del triennio della scuola secondaria di II grado è un momento importante per i nostri ragazzi e ragazze: è un passaggio, di poco successivo a quello dalle medie alle superiori; un passaggio che avviene all’interno delle stesse mura ma che fa sentire più grandi, più lanciati verso la meta. A metà della terza si sarà “nel mezzo del cammin” e la maturità sarà più vicina dell’esame di terza media

Come strutturare questi tre anni? È giusto abbreviarli come ogni tanto si propone? E per quale motivo farlo?

Iniziamo a dire che il triennio dovrebbe guidare i ragazzi e le ragazze verso un mondo adulto che però essi possono per il momento solo assaggiare a piccoli bocconi. È vero però che tra la quarta e la quinta classe la maggior parte di essi raggiungerà la maggiore età, e dunque gli insegnanti si troveranno di fronte ad adulti, per quanto giovani. E qui credo sia importante fissare alcuni punti pedagogici importanti

Se i ragazzi in quinta sono adulti non possiamo ricordarglielo solo quando ci fa comodo e trattarli da bambini quando ci pare e piace. Se vogliamo che siano autonomi dobbiamo agire in modo che il loro essere adulti sia reale anche nelle pratiche quotidiane, anche quelle che sembrano più banali. Quale adulto per esempio, in una riunione, alza la mano per chiedere di andare in bagno? Eppure questa pratica, già infantilizzante negli anni precedenti, risulta davvero insensata davanti a giovani adulti. Non sarebbe pensabile dare due norme (si esce uno alla volta e al massimo per cinque minuti) e poi lasciare che i ragazzi si autoregolino? Si sente spesso rispondere: ma poi ci sono quelli che escono durante la spiegazione; bene, sarà una loro scelta e ne subiranno le conseguenze. Così come ci sembra decisamente assurda l’abitudine di far alzare in piedi gli studenti quando entra il docente. In quale fabbrica se non in quelle dove lavorava Fantozzi i dipendenti si alzano in piedi quando entra il Mega-Direttore Galattico? È con questa specie di inchino vassallatico che noi adulti ci manifestiamo il reciproco rispetto?

Eccesso di controllo

La stessa cosa vale per l’organizzazione della vita didattica. Che senso ha controllare i compiti dei ragazzi del triennio, e della quinta in particolare? Se un ragazzo o una ragazze decide di sua volontà di non svolgere i compiti pagherà eventualmente questa decisione con una preparazione meno approfondita e magari con valutazioni più basse. Per quale motivo ragazze e ragazzi che hanno il diritto di formarsi le proprie giustificazioni per assenze e ritardi devono poi mostrare i loro quaderni al docentecome facevano da ragazzini alle medie? In questo senso il controllo è infantilizzante e certamente non aiuta a crescere, così come le “note” che sono sempre poco sensate e lo sono sempre più man mano che i ragazzi crescono.

E ancora: se vogliamo passare l’idea che la scuola è sempre più una responsabilità del ragazzo, allora perché non sostituiamo o perlomeno integriamo i colloqui con i genitori con i colloqui con i ragazzi medesimi, in modo che sappiano direttamente dal docente, in una situazione più intima quali sono le risorse e i problemi che mettono in campo? O siamo legati all’idea “lo dico alla mamma così lei lo dice al ragazzo?”.

Andiamo avanti e spostiamoci del regno dei sogni, però realizzabili. Per quale motivo la classe quinta deve ancora essere caratterizzata dalla presenza per cinque/sei ore di ragazzi seduti al banco e sottoposti al rito spiegazione-verifica-valutazione che ormai mostra le corde anche nei cicli inferiori? Possiamo pensare a giornate nei quali i ragazzi hanno il compito di svolgere una ricerca sul territorio, realizzare interviste, visitare aziende, istituzioni o enti pubblici e poi riportare tutto questo in classe? E andando ancora più lontano, possiamo pensare che un ragazzo che ha già chiara la scelta universitaria e che per esempio vuole iscriversi a Fisica possa avere un piano di studi personalizzato con più ore della sua materia preferita, magari anche con qualche frequentazione di lezioni universitarie, e un’inevitabile diminuzione ragionata delle ore di altre discipline? Il tutto ovviamente affiancato da un piano degli studi tradizionale per coloro che ancora non hanno chiara la scelta futura. In fin dei conti è così che molti tra noi cinquantenni hanno frequentato l’università prima che anch’essa diventasse una specie di continuazione del liceo (e via infantilizzando)

La logica degli accreditamenti e della certificazione delle competenze, criticabile fin che si vuole, ha almeno questo di buono: l’idea che tra scuola e vita non vi sia un baratro e che quello che imparo fuori della scuola può essere riportato al suo interno, per essere messo in asse con gli altri apprendimenti

La lezione di Forrest Gump

Ma tutto questo ovviamente non si crea magicamente il primo giorno della classe quinta. La quinta in realtà inizia in terza, non nel senso corrivo di iniziare ad ammorbare i ragazzi con il ricatto della Maturità il primo giorno della terza classe, ma di sperimentare fin dall’inizio del triennio almeno alcune delle proposte sopra indicate o altre che abbiano però lo stesso obiettivo: trattare i ragazzi da grandi.

Forrest Gump diceva “stupido è chi lo stupido fa”. Aggiungiamo: bambino è chi da bambino viene trattato. Se vogliamo che i ragazzi crescano smettiamo di trattarli da bambini e trasformiamo il triennio (senza mutilarlo) in una scuola fatta da adulti per adulti.

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