Cultura e Spettacoli / Erba
Domenica 05 Novembre 2023
Segantini in Brianza da allievo a maestro
Sabato a Pusiano si inaugura una sala dedicata al grande pittore divisionista. Vi proponiamo la presentazione scritta dalla massima esperta della sua opera
All’inizio di ottobre 1881, Giovanni Segantini si trasferisce in Brianza con la donna amata Luigia Pierina Bugatti, detta Bice, sorella di quel Carlo che sarebbe diventato uno dei più estrosi creatori di mobili della Belle Époque.
Nato il 15 gennaio 1858 il giovane pittore ha ventitré anni ed è già considerato tra gli artisti più promettenti della nuova scuola lombarda. La futura compagna, con la quale costruirà una vita di famiglia in “unione libera”, non è ancora maggiorenne (1861-1930).
Tra il 1882 e il 1885 nasceranno i loro tre figli maschi, Gottardo a Pusiano (25 maggio 1882), Alberto a Carella (9 ottobre 1883), Mario a Milano (31 marzo 1885) dove la famiglia si era trasferita mentre l’artista era rimasto solo a Caglio per dedicarsi alla sua prima opera monumentale: “Alla stanga”. Anche la figlia Bianca (1886-1890) verrà alla luce a Milano, dove Segantini raggiungerà la famiglia, consapevole che la ricca esperienza briantea era già conclusa e che avrebbe dovuto trovare un altro luogo da traslare in arte. Saranno quattro anni vincenti nell’affermazione sullo scenario europeo dell’arte. Arriva in Brianza a meno di due anni dall’uscita da Brera, forte del trionfale esordio alla Mostra Annuale della Accademia con il “Coro di Sant’Antonio”, che gli vale di essere chiamato a fare parte della “scuderia” Grubicy.
Notorietà
Ne ripartirà, quattro anni più tardi, pittore già noto nei Paesi Bassi, consacrato dagli ambienti internazionali dell’arte ufficiale in quanto vincitore della medaglia d’oro all’Exposition Universelle di Amsterdam del 1883 per la prima versione di “Ave Maria a trasbordo”. Vittore Grubicy, titolare con il fratello Alberto della Galleria da lui concepita come finestra verso il mercato internazionale dell’arte, sin dalla presentazione del “Coro di Sant’Antonio” a Brera nel 1879, fiuta il talento di quel ribelle pressoché analfabeta. Il modesto stipendio pattuito in cambio dell’esclusività sulla totale produzione permette a Segantini di compiere il passo decisivo. La scelta della Brianza sancisce il distacco da Milano, da quel passato greve di ricordi dolorosi e di umiliazioni, concedendogli tuttavia di non tagliare i ponti con la città della sua formazione alla quale rimarrà legato da amore/odio e dove Vittore per primo, poi Alberto, gli concederanno un “pied à terre” nel loro palazzo di via San Marco.
La Brianza è determinante nell’affermarsi del rapporto con la natura: lì capisce che la sua opera richiede un legame da costruire con un territorio da tradurre in pittura. È tempo di difficile adattamento ad un mondo rurale estraneo. Contrariamente a quando si crede, Segantini non era cresciuto con i contadini e il loro lavoro non diventa mai tema maggiore nel suo operato che invece predilige una narrativa che veicoli valenze affettive. Il trauma dell’incarcerazione presso il milanese Riformatorio Marchiondi in età adolescenziale, aveva lasciato in lui segni indelebili che, aggiunti all’agghiacciante miseria della prima infanzia derelitta, lo porteranno a un totale disprezzo del denaro e ad un perenne scialacquare degli ingenti guadagni in una sfrenata ricerca del lusso, alla quale darà già libero corso, appunto in Brianza, diventando leggenda.
Dal contatto con la natura e gli animali nascono emozioni intense, per lui nuove, che generano un approccio diverso al “fare arte”. Lì, per la prima volta, mette in pratica il particolarissimo modo di concepire la pittura “en plein air”: partendo da una regia preparatoria al quadro, secondo la quale, per imbastire la composizione, posiziona i modelli, animali e gente, nello spazio scelto creando“un tableau vivant”, ricostituito poi all’inizio di ogni giornata di lavoro. Poi procede per mesi “in loco” senza mai ritoccare il dipinto in interno. Sulla tela le forme vengono modellate di getto, imbastendo le pennellate di colore su una base preparata ad intonaco, senza disegni o schizzi antecedenti. Da allora, inizia a concepire la grafica come possibilità di ripensamento dell’opera, da effettuare in interno da fotografie o da memoria, accentuando progressivamente la valenza simbolica già suggerita nel dipinto.
Crescita intellettuale
Per lui ancora pressoché analfabeta, la stagione briantea segna una svolta di crescita intellettuale. Assetato di voglia di imparare - la curiosità gli era venuta a Milano a contatto con i fratelli Bertoni, noti droghieri - durante le serate in quel loro retrobottega che, dopo le ore lavorative, diventava cenacolo intellettuale. In quei tempi di estrema precarietà, facevano le veci di famiglia per Segantini, offrendogli sostegno morale ed economico. Fu probabilmente grazie a quelle inconsuete frequentazioni che l’artista fu in grado di recepire l’insegnamento di Vittore che si dedicò a formarlo. Fu non soltanto mecenate e critico, ma mentore, tramite d’informazioni e maestro che, orientando le sue prime letture, sviluppò in lui le premesse a un discorso critico. Nell’81 le prime lettere a Vittore si riducono ad alcune righe maldestre.
Ho avuto il privilegio di pubblicare nella sua quasi totalità [Cattaneo Editore, Oggiono, 1983] i carteggi a Vittore e Alberto non che ai numerosi corrispondenti del mondo della cultura contemporanea. Permettono di seguire la folgorante nascita di una raffinata capacità d’espressione, fino a quel personalissimo stile nel formulare pensieri estetici e tecnici sempre più complessi, che negli anni novanta lo faranno partecipe da protagonista del dibattito artistico dell’Europa del suo tempo.
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