È un periodo terribile. Abbiamo i carrarmati alle porte d’Europa, gli stermini in Medio Oriente, la Francia in pezzi, gli Stati Uniti in balìa dei due vecchietti del Muppet Show e pure una nuova ondata di Covid. Ma, insomma, nella vita c’è di peggio. Mai stati a cena con un giornalista sportivo?
Questo curioso personaggio, che generalmente si contraddistingue per la patacca di ragù sulla cravatta e l’inquietante tendenza a distrarsi quando arriva il conto (poi ci sono tutte le eccezioni del caso, per carità: i nostri, ad esempio, sono dei fenomeni), rappresenta la vera metafora, la vera proiezione, il vero ventriloquo dell’italiano medio baffo nero mandolino, ricettore formidabile delle pulsioni del ventre molle della nazione che sembra creato ad arte per confermare il celebre aforisma di Churchill, che nutriva nei nostri confronti un disprezzo inferiore solo a quello che riservava agli indiani: «Mi piacciono gli italiani, vanno alla guerra come fosse una partita di calcio e vanno a una partita di calcio come fosse la guerra».
Ed è proprio così. La cosa più spassosa, ogni volta che accade qualche catastrofe ai mondiali o agli europei è rileggersi in sequenza le dichiarazioni, le previsioni e le considerazioni dei sedicenti cronisti e analisti e commentatori e chiosatori delle vicende patrie prima che il torneo inizi e poi quando il torneo è finito anzitempo. Uno spettacolo dadaista. Esattamente come è successo quest’anno. Alla vigilia della partenza per la Germania, ma anche dopo la prima (semi-penosa) partita con l’invincibile Albania, era tutto un declamare, un vagheggiare, un sermoneggiare, un carducciare, un dannunziare, evviva evviva, in alto i cuori, ma quanto siamo forti, ma quanto siamo ganzi, talentuosi e imprevedibili e che bella questa giovine Italia pronta a rinverdire i fasti di tre anni prima, siamo campioni in carica e tali intendiamo rimanere, fatevene una ragione, e il formidabile blocco Inter e l’elegantissimo Calafiori nuovo Cabrini e forse pure nuovo Maldini e il saggio Jorginho e i romanisti soldatini generosi e l’imprendibile Chiesa e il fromboliere Scamacca nuovo Riva, nuovo Boninsegna e pure nuovo Toni e il guizzante duo Retegui-Raspadori che neanche Pulici-Graziani e il mantra di mister Spalletti e la lezione dal mago Spalletti e la filosofia del genio Spalletti che come giocava il Napoli scudettato nessuno mai e tutti lì a piroettare, a sbandierare, a pigolare, a cinguettare sulle meraviglianti meraviglie dei meravigliosi azzurri.
Adesso sono diventati delle merde. Dei lazzaroni, dei mercenari, dei miliardari viziati che andassero in miniera a lavorare e basta ed è uno schifo ed è una vergogna e non c’è gioco e non c’è corsa e non c’è tecnica e non c’è tattica e Spalletti inetto e Spalletti arrogante e Spalletti permaloso e Spalletti pelato e Spalletti comunista e pure fascista. Spalletti chi? Un massacro. E conoscendo i polli, non c’è niente come l’odore del sangue che faccia innestare il turbo-trombone ai sedicenti analisti e polemisti di cui sopra. E quando parte la retorica sulle stagioni andate, signora mia, allora è veramente finita: «Ai nostri tempi si giocava all’oratorio e nei cortili!», «Basta soldi ai giovanissimi, qui manca la fame!!», «Basta con gli stranieri, aiutiamoli a casa loro!!!», «Gli allenatori delle giovanili pensano solo agli schemi!!!!», «Quando c’era lui, caro lei, che avrà anche avuto i suoi difetti, ma intanto ci ha fatto vincere due mondiali!!!!!»
Un trionfo di fanfaronate, di giornalismo di serie Z, di retorica nazionalista da stazione, da sciampista, che regala momenti di puro intrattenimento e che dimostra come nella storia, in un perfetto circolo paretiano, non cambi mai niente, visto che se prendiamo le rassegne stampa prima e dopo le non poche disfatte calcistiche della repubblica della banane - la Corea 1, la Corea 2, i mondiali del ‘74 che hanno inspirato al formidabile Giovanni Arpino l’altrettanto formidabile “Azzurro tenebra”, il disastro del 2010 eccetera – vediamo che sono tutte uguali, con un identico trattamento riservato al povero Edmondo Fabbri e agli altrettanto poveri Valcareggi e Trapattoni con insulti cencellianamente distribuiti a campioni come Rivera, Mazzola, Totti e Del Piero. Salvo poi farli ridiventare - in piena sindrome fantozziana - dei santi, dei filosofi, degli apostoli, appena quattro anni dopo il 2002, quando l’Italia ha vinto a sorpresa il mondiale. Insomma il solito circo. La solita Italietta del bar della Pesa, dei commentatori da divano che non hanno mai fatto sport in vita loro o dei molesti da osteria, che è tutta colpa di Moggi e che qui è tutto un magna magna.
Poi ci sono i paesi civili, tipo l’Inghilterra, che al di là del fatto che lì si vota, un giorno dopo c’è il governo e il vittorioso di sinistra ringrazia pubblicamente lo sconfitto di destra (se pensate a una scena del genere tra Meloni e Schlein vi portano via con l’ambulanza) lo dimostra quando ci sono i campionati. L’Inghilterra notoriamente non vince mai una mazza, perde sempre, pure avendo da secoli il torneo di gran lunga più bello, competitivo e qualitativo del mondo. È sempre la stessa solfa, giocano troppo, hanno mille coppe nazionali e arrivano cotti a fine stagione. E infatti nella loro bacheca c’è solo un mondiale (scippato ai tedeschi grazie a un iconico gol fantasma; i tedeschi li derubano sempre, come la Spagna venerdì sera) e prendono schiaffi da tutti (ma che sia questa la volta buona?). Eppure non è che vedi le sceneggiate che si ammirano da queste parti: un po’ di cagnara sui siti e sui tabloid popolari ed è finita lì.
Forse perché sarà un caso, forse perché saranno noiosi, forse perché la Thatcher, puro distillato di destra anglosassone, la destra all’italiana la prenderebbe a pedate nel sedere, forse perché loro le guerre le vincono sempre e noi invece non le finiamo mai con gli stessi alleati con le quali le abbiamo iniziate. Forse perché, appunto, loro quando fanno la guerra fanno la guerra, quando giocano a pallone giocano soltanto a pallone.
@DiegoMinonzio
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