Tessile, ora si rivede la luce. «Primi segnali dal mercato»

Stefano Vitali, amministratore della Tessitura F.lli Vitali di Calco, reduce dalle tre giornate di Milano Unica. «Una vera ripresa è attesa nel 2025. Siamo in una fase difficile, ma su ricerca e innovazione non ci siamo fermati»

All’indomani di Milano Unica il comparto tessile vede la luce in fondo al tunnel, secondo Stefano Vitali, amministratore della Tessitura F.lli Vitali.

In Fiera Milano si sono incontrati clienti da tutto il mondo e anche la Cina sembra dare segnali di nuovo interesse, ma il clima di attesa è destinato a perdurare almeno fino alle elezioni presidenziali negli Usa.

La ripresa quindi è rimandata all’autunno-inverno?

Ci aspettiamo un prossimo anno più interessante, in miglioramento. Mentre i mesi che ci aspettano nell’immediato saranno ancora interlocutori, ma comunque si comincia a notare qualche piccolo segnale incoraggiante da parte del mercato.

La ripresa potrebbe avere inizio in modo più significativo nel 2025, con una ragionevole prudenza dettata dalle condizioni geopolitiche e dall’attesa sui mercati data dalle elezioni americane.

Armadi pieni e ricerca di sostenibilità, che si traduce anche in riduzione degli acquisti: sono queste le due ragioni del perdurare di una flessione del settore?

È vero che c’è molto ancora in magazzino e gli armadi sono pieni per quel rimbalzo di acquisti, molto forte, che c’è stato dopo il lockdown. Ed è anche vero che la spinta alla sostenibilità impone che si acquistino beni di maggiore qualità e più duraturi. Questa filosofia è entrata nello stile di consumo.

Se così è, si tratta di una motivazione che può cambiare in modo irreversibile le abitudini di acquisto e quindi la propensione al consumo?

La vedo al contrario, nel senso che c’è sicuramente un fortissimo interesse nei confronti dei tessuti sostenibili e per i capi durevoli nel tempo. Ma magari quelli di vecchia generazione potrebbero essere non così sostenibili come si potrebbe pensare e si potrebbe rendere necessario acquistare sì capi durevoli ma di qualità, mentre il vintage non risponde sempre a queste esigenze.

Perché?

Se, per esempio, un ragazzo va al mercatino a Londra e su una bancarella vede un capo vintage che gli piace, magari degli anni ’60, e lo compra, in realtà non sa cosa sta portando a casa davvero, oltre a un capo apparentemente anche bellissimo, né sa se quel tessuto è davvero sostenibile. Magari è stato fatto con delle sostanze chimiche particolari che negli anni ’60 e negli anni ’70 erano ancora permesse, quando non c’era la cura e l’attenzione per la salute che è arrivata nei decenni successivi. Oggi c’è una grande ricerca sulla sostenibilità e a Como in particolare si sta lavorando veramente tanto in questo senso. Sono molte le aziende che hanno investito e si sono attrezzate proprio per produrre in maniera sostenibile, sia dal punto di vista ecologico che dal punto di vista sociale.

È ancora un’estate in cui le imprese producono a ranghi ridotti, molte sono ricorse alla cassa integrazione, con quali concrete prospettive di ripresa?

In realtà è proprio in questa fase di rallentamento e di ricorso alla cassa integrazione che in molti continuiamo a investire: in sostenibilità e quindi in macchinari, in formazione. Approfittiamo di questo momento, sia di mercato che di ferie del personale, per aggiornare i sistemi operativi, per esempio, e implementare la tecnologia.

Utilizziamo questo periodo per fare innovazione, per razionalizzare le produzioni, altre imprese investono molto sui disegni. Quindi, nonostante i dati esprimano tutta la difficoltà di questi ultimi mesi, non c’ è stata una dismissione da parte delle aziende. Si è in attesa, ma è un’attesa attiva. A Como si investe ed è molto importante continuino a farlo per aggiornarsi e per ottenere un prodotto che sia sempre più attraente.

Qual è stato il clima di Milano Unica, fiera di riferimento dei tessuti per la moda?

La sensazione era che ci fosse una generale fiducia. Gli espositori erano più numerosi rispetto all’anno precedente e la fiera milanese ha guadagnato terreno rispetto a Première Vision a Parigi, dove c’erano anche molte imprese asiatiche. Così l’intero distretto tessile comasco si è ritrovato unito nell’idea di aumentare la presenza a Milano Unica. E infatti a Parigi erano presenti circa una quindicina di aziende comasche e non tutte appartenenti al nostro settore specifico del tessile serico, mentre a Milano le imprese del distretto erano una sessantina. Non solo, è aumentata anche la superficie complessiva del 23% in più ed un dato è significativo perché significa che le aziende hanno portato più prodotti e che gli stand erano mediamente molto più grandi rispetto agli anni precedenti. Le aziende hanno portato più prodotti in mostra e hanno investito in spazi: se prima gli stand erano attorno ai 20 metri quadrati quest’anno erano 40.

Come si spiega, in un momento di rallentamento degli ordini e di incertezza dei mercati, questo maggiore investimento in Milano Unica?

Perché la manifestazione milanese sta assumendo i connotati non solo di primaria fiera italiana ma di una fiera internazionale. Ho anche avuto modo di parlare con due clienti francesi, i quali hanno detto che anche loro daranno maggiore visibilità ai loro prodotti a Milano. Quindi per la fascia alta di mercato è Milano Unica che si sta imponendo come fiera del settore e si è ritagliata uno spazio importante per i brand italiani e soprattutto internazionali.

Quali clienti avete incontrato?

Ci sono stati scambi interessanti e i visitatori, i buyer, erano “di qualità”. Milano Unica è proprio la vetrina in cui gli stakeholder del settore si fanno vedere e, dal lato aziende, si mette in mostra la ricerca che concorre alla creazione dei tessuti, si fa vedere ciò che ogni singola impresa del distretto sta proponendo al mercato. In questo contesto si mostrano i risultati del lavoro e del saper fare comasco, che si distingue sempre.

Si è concretizzato qualche ordine?

No, non in quella sede. Come consueto gli ordini si definiranno più avanti, nelle prossime settimane e mesi, in base alle scelte che vengono fatte in fiera. Però confermo che c’è stato tanto interesse e molta vitalità.

Anche per il mercato della seta?

Sì, è un momento interessante. Sulla seta si sta collaborando con i cinesi, i francesi, i brasiliani e altri per implementare degli studi di ricerca importanti. Non si è mai fermi, siamo sempre molto dinamici. Nonostante sia stato un anno pesante e difficile per tante ragioni, non ci siamo fermati. Abbiamo dovuto affrontare i risultati del boom post-Covid, dove c’è stata l’euforia della produzione, e i grandi brand hanno riempito i negozi. E adesso i negozi hanno molti capi invenduti.

A questo si sono aggiunte le guerre e c’è stata una contrazione in Cina. Per la seta e per il settore del lusso la Cina rappresenta il 25% al mercato mondiale e il calo dei consumi è stato determinante.

Anche la scomparsa della Russia come mercato è stato per il settore seta e lussa un cambiamento grave. Abbiamo perso tutta la clientela russa, anche sul Lago di Como, che si caratterizzava per consumi di fascia alta. Ci sono ancora russi che abitano a Londra, ma si tratta di una clientela residuale, come anche le esportazioni attraverso stati che permettono la triangolazione, ma non è la stessa cosa. Non c’è più l’acquirente finale.

Si attendono le elezioni Usa per capire come evolverà la situazione internazionale?

Sì, i grandi brand sono in attesa delle elezioni americane. Per noi, dal punto di vista economico, in caso di vittoria di Trump potrebbe non essere una buona notizia perché ha sempre espresso una politica economica autoreferenziale, ma potrebbe però essere risolutivo per una distensione internazionale. Viste le incertezze ancora da sciogliere, è possibile che fino a novembre ancora si temporeggi per le decisioni economiche più importanti.

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