«Competition is competition» bofonchiò Romano Prodi facendo spuntare un artiglio dalla sua rinomata bonomia. Correva l’anno 1999, un millennio fa, ma la massima è ancora attuale e si può applicare alle elezioni per il sindaco a Como.
Questa volta, infatti, c’è una grande novità. La tornata amministrativa non ha un vincitore annunciato. I primi e, si presume, principali cavalli sono già ai nastri di partenza per il gran premio del 12 e 26 giugno (il ballottaggio è l’unica certezza), ma i bookmakers tentennano ad assegnare le quote.
Non era quasi successo e lo si può scoprire percorrendo la storia delle elezioni comunali a Como. La cosiddetta Prima Repubblica fu egemonizzata dalla Democrazia Cristiana che si prese tutti i primi cittadini tranne due.
Uno, nel 1985 – il socialista Sergio Simone – a causa di un accordo passato sopra le teste dei partiti locali. Allora, va ricordato, il sindaco non era eletto direttamente dai cittadini, ma dal consiglio comunale, cioè delle segreterie delle forze politiche.
L’altro, Renzo Pigni, alfiere della sinistra indipendente, occupò per un breve periodo l’ufficio più importante di palazzo Cernezzi quando del Muro di Berlino restavano solo le macerie e cominciava a soffiare il vento di Tangentopoli.
Nella presunta Seconda Repubblica, con la palla della scelta lanciata nel campo degli elettori, ci fu un pathos solo apparente all’esordio, nel 1994. L’esito del primo turno illuse Moritz Mantero, imprenditore tornato in campo adesso nella lista civica che sostiene Barbara Minghetti, che però fu travolto al ballottaggio da Alberto Botta, candidato di un centrodestra senza Lega, anche a causa delle consuete e imperiture divisioni a sinistra.
Anche il bis dell’ex presidente del Coni, opposto a Emilio Terragni, apparve abbastanza scontato nonostante il Carroccio ancora fuori dalla coalizione e più attrezzato di quattro anni prima.
Idem con patate la doppietta di Stefano Bruni, altro esponente moderato emerso da un mutamento degli equilibri interni a Forza Italia nel 2002 e nel 2007.
Proprio le macerie lasciate dal secondo round di Bruni, su tutte cantiere del lungolago e Ticosa, aprirono la strada a un successo scontato del centrosinistra di Mario Lucini, opposto a una compagine dilianata dai dissidi interni che avevano portato a roventi primarie tra Laura Bordoli e Sergio Gaddi, con la prima a prevalere.
Lucini fu vittima, a sua volta, cinque anni dopo dei lavori infiniti e pasticciati per le opere anti esdondazione. Il centrodestra compatto e forte ancora della nomea di Como come proprio Mugello in quella coalizione lanciò in largo anticipo l’attuale primo cittadino, Mario Landriscina e vana fu, come quasi tutti immaginavano, la pur combattiva rincorsa di Maurizio Traglio.
In quell’occasione emerse, per la prima volta in modo marcato, la tripolarità del quadro politico. Non per cagione dei Cinque Stelle, sempre piuttosto deboli da queste parti, ma per la significativa affermazione di Alessandro Rapinese, candidato civico e battagliero che, con un risultato al di sopra del 20 per cento lambì il ballottaggio.
La presenza di Rapinese è una delle ragioni di incertezza dell’elezione prossima ventura. Il centrosinistra questa volta ha preso il mare in campagna elettorale molto prima del centrodestra e, pur pagando le consuete lacerazioni, ha individuato in Barbara Minghetti con meno affanno del solito il candidato sindaco.
Il centrodestra, su cui pesa il macigno della disastrosa esperienza Landriscina, ha trovato una quadra non stabilissima su Giordano Molteni, medico e amministratore, già sindaco di Lipomo. Da questo tridente uscirà il primo cittadino di Como, (non ce ne voglia Adria Bartolich in lizza con Civitas che avrà comunque un peso nel determinare l’esito, specie al ballottaggio) anche se altri aspiranti su uniranno alla compagnia da qui al giorno della presentazione delle liste.
Questa volta però all’insegna dell“indovinala grillo” (non nel senso di Beppe) gli elettori saranno davvero i protagonisti. E questo può anche non essere un male.
© RIPRODUZIONE RISERVATA