Gentile direttore Diego Minonzio,
abbiamo letto l’articolo “Figli delusi dai genitori”, pubblicato domenica 23 giugno su La Provincia di Como, in cui – riferendosi alla recente vicenda della lite che ha coinvolto Virzì e Ramazzotti – definisce il binomio calciatori e veline la “coppia di destra per antonomasia: scarsa cultura, scarsa lettura, burinissima postura”.
Innanzitutto, vorremmo, per l’ennesima volta, sfatare lo stereotipo calciatore-Velina e per farlo citiamo direttamente Antonio Ricci, che in Me Tapiro (Mondadori, 2017) scrisse: “La storia del binomio calciatore-Velina (tacchetti e tacchi) è una forzatura. ln trent’anni solo sette Veline in carica si sono fidanzate con calciatori. Il 18,4 per cento. Senz’altro sono molte di più le giornaliste che hanno amoreggiato con i calciatori”. Percentuale che oggi scende a circa il 15 per cento, dato che nessuna delle Veline che si sono avvicendate a Striscia dopo il 2017 ha avuto storie con calciatori.
Inoltre, precisiamo che la figura della Velina non può essere etichettata come di destra o di sinistra. Nessuna delle ragazze che hanno lavorato a Striscia ha mai tentato la strada della politica: non sono mai state elette (ma neppure candidate) in alcuna lista politica, né sono state coinvolte in scandali di qualunque genere.
Le nostre Veline, quasi sempre ballerine professioniste, sono ragazze che si impegnano ogni giorno in allenamenti, corsi di dizione e recitazione, studiando duramente per perfezionarsi.
Troviamo invece, se ci permette, piuttosto volgari e cafoni questi pregiudizi sulle Veline. E vorremmo pure capire in base a cosa ha tratto certe conclusioni, visto che mai ci risulta che le Veline siano state coinvolte in divorzi rissosi o episodi simili.
I nostri più cordiali saluti
Striscia la notizia
Ufficio stampa
La “par condicio”
nelle tracce
Sono commissario alla maturità e ho letto con interesse le tracce del tema di italiano La prima traccia riguarda la analisi di un testo letterario poetico e il testo da analizzare è di Giuseppe Ungaretti. La seconda riguarda la analisi di un testo prosastico di Luigi Pirandello. La primissima cosa che mi è balzata in mente è la seguente: entrambi gli autori sono stati firmatari del Manifesto degli Intellettuali fascisti scritto da Giovanni Gentile e pubblicato il 21 aprile 1925. Siccome pochi giorni dopo, il 1 maggio 1925, Benedetto Croce pubblicò il manifesto degli Intellettuali non fascisti, il ministero della Istruzione che oggi abbiamo, se avesse uno spirito liberale, avrebbe potuto fare una specie di “par condicio” tra fascisti e non fascisti e scegliere un poeta o un prosatore dal primo gruppo e uno dal secondo gruppo. Infatti tra i firmatari non fascisti poeti potevano essere scelti Eugenio Montale o Sibilla Aleramo.
E tra i firmatari non fascisti prosatori potevano essere scelti Aldo Palazzeschi o Matilde Serao (per sei volte candidata al premio Nobel). Come mai entrambi poeta e prosatore sono stati scelti solo tra gli intellettuali fascisti? Lascio a chi mi legge tentare ipotesi di risposta a questa domanda. Io come commissario osservo che nelle due quinte della mia commissione queste due tracce letterarie sono state le più scelte in assoluto tra tutte le tracce che potevano essere scelte... in una quinta addirittura 15 studenti su 19 hanno scritto o su Ungaretti o su Pirandello!
Franco Manni
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