Atletica / Como città
Mercoledì 07 Agosto 2024
I 40 anni dell’Oro olimpico di Cova: «Indimenticabile»
Intervista «Porto sempre con me quelle immagini e soprattutto quelle grandissime emozioni»
Il 6 agosto 1984 era un lunedì quando Alberto Cova vinse la medaglia d’oro nei 10.000 metri alle Olimpiadi di Los Angeles. Nella memoria collettiva degli italiani rimane la splendida volata dell’inverighese (65 anni), a demolire la resistenza degli avversari, a partire dal finlandese Martti Olavi Vainio (che poi venne pure squalificato per doping). Il campione comasco ha festeggiato il “compleanno” della vittoria, ospite di “Correre tv”, nello spazio dedicato alle Olimpiadi. La “pazzia” l’ha fatta nel 2014, in occasione del trentennale.
«Sono andato a Los Angeles, a celebrare al memorial Coliseum, dove ho vinto i 10.000 -ricorda -. Purtroppo però era chiuso. La mia voglia di tornare in quell’impianto era tanta così ho girato attorno e trovato un piccolo cancello, socchiuso. Sono entrato, con il timore di essere visto, ma avevo pronto la giustificazione. «Quell’Alberto Cova, inciso nella parete dello stadio (tra l’altro vicino a quello di Luigi Beccali, oro nei 1.500 a Los Angeles 1932), come vincitore sono io», avrei detto. Paura a parte è stata un’emozione bellissima, anche se purtroppo la pista di atletica è stata tolta, per fare spazio al football americano. Per fortuna nel 2028, in occasione della terza Olimpiade nella città californiana, sarà rimessa».
Cosa ha pensato un secondo dopo aver tagliato il traguardo per primo ed essere diventato campione olimpico?
«”Porca miseria ce l’ho fatta”, è stato il mio primo pensiero. Poi mi sono detto che non poteva che andare così. Avevo raccolto tutta la fatica, il sudore, gli allenamenti, le rinunce che avevo fatto. Il mio sogno, come quello della stragrande maggioranza degli atleti, era di andare alle Olimpiadi e magari vincerle. Il primo passo è stato quello di comprendere se ne avessi avuto le capacità. E l’ho capito strada facendo, continuando ad allenarmi e ad ascoltare i tecnici che mi hanno seguito. Fondamentale è stata poi la capacità di gestire le emozioni, di essere molto freddo e razionale, anche nei momenti più importanti».
Come rivive ogni giorno quel successo?
«Prima di tutto non puoi dimenticarlo: ti rimane sempre dentro. Porto sempre con me quelle immagini e soprattutto quelle grandissime emozioni. Gli anni passano ma non è cambiato nulla: quello che ho vissuto il 6 agosto di quarant’anni fa è sempre dentro di me. E’ un ricordo bellissimo e indimenticabile»
Tiene in casa qualche immagine di quella gara, per poterla guardare?
«Ho una foto mentre taglio la linea del traguardo. E’ assieme ad altre due alle quali tengo molto. La prima è di una gara con la maglia della Pro Patria a Rovereto. Erano venuti a vedermi, per la prima volta, i miei genitori e l’ho regalata a loro. Adesso, dopo la scomparsa tre anni fa di mio papà, l’ho presa io e l’ho messa nell’angolo dei ricordi. In quello che io definisco “l’evoluzione della specie”. Il primo passo è rappresentato dalla foto di una campestre che ho corso agli inizi della carriera. Era il 16 febbraio 1975 ed eravamo a Gironico».
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