Cantù, non è finita. Ma Trieste è molto più solida

Basket S.Bernardo in difficoltà contro un’avversaria in grande fiducia

Due minuti e quarantatrè secondi in gara 1. Ventotto secondi in gara 2. Totale tre minuti e undici secondi: sono quelli in cui la S.Bernardo è stata complessivamente in vantaggio nelle prime due partite di finale promozione giocate a Desio. Poco più di tre minuti, dunque, su un totale di 80 a disposizione. Trieste, al contrario, ha trascorso al comando 72’39”...

Ora, vero che nel basket puoi stare sotto tutto l’incontro e realizzare il canestro del sorpasso sull’ultima sirena e saresti in fondo stato avanti un solo secondo e dunque quel tipo di lettura dei numeri lascerebbe il tempo che trova, ma l’impressione alla luce dello svolgimento delle due gare in terra di Brianza è che invece una linea di tendenza l’abbiano decisamente tracciata.

Alla base di tutto c’è una questione di fiducia: Trieste in questo momento storico ne ha in maniera smisurata in sé stessa. Ha fiducia in ciò che fa e ciò che fa porta risultato. In più, c’è reciproca fiducia tra i giocatori. L’azione simbolo? Poco più di 30” allo scadere, Trieste è avanti 77-73 e ha un Reyes indemoniato che fa canestro in tutti i modi. Baldi Rossi sbaglia un tiro da tre, Reyes acchiappa il rimbalzo difensivo, si fa il campo in palleggio, attira su di sè la difesa e scarica in angolo per Candussi che infila la tripla che decreta virtualmente l’affermazione ospite. Un leader straniero che offre la biglia a un suo compagno italiano proprio perché ha fiducia in lui. L’esaltazione dello spirito di squadra.

Ha fatto impressione osservare come, senza cambiare nulla della propria filosofia d’attacco, i giuliani abbiano quasi sempre preso i tiri giusti al momento giusto. Ogni volta che Cantù ha messo fuori la testa, con le unghie i denti (e di questo le va dato merito), la squadra di coach Christian ha infatti sempre scelto la soluzione migliore e più efficace per quel preciso momento. Costruendo bene i tiri in una situazione di grande pressione. Ed ecco che qui affiora un’altra diversità tra i due team: la solidità. Cantù in attacco vive molto sulle iniziative di Hickey, giocatore totalizzante che però quando non ingrana fa fatica a creare per gli altri (lo sa fare, e bene, quando è in serata. E allora sì, apre le partite...). Il problema è che al suo fianco manca un secondo violino, un’alternativa in grado di offrire pericolosità costante.

Ecco, sul piano della solidità Trieste è decisamente più tosta, più quadrata e più centrata - oltre che più omogenea sotto il profilo della costruzione della squadra - anche perché poggia le proprie basi su una filosofia tecnico-tattica nella quale crede appieno e dalla quale - torniamo al discorso di poco fa - trae alimento per sicurezze e fiducia.

Altro aspetto che non è passato inosservato è quello dei rimbalzi offensivi: Trieste l’altra sera ne ha strappati ben 16 (contro 9) soprattutto di “voglia”. Più in generale, Cantù ha patito dentro l’area.

La S.Bernardo, inoltre, soffre l’atipicità di Reyes, ala che sa farti male sia da “3” sia da “4”. L’unico in grado di difendere su di lui con una certa efficacia è parso Nikolic, ma qui si apre il capitolo della coperta corta perché il buon Stefan sarebbe l’ideale anche per arginare quel metronomo di Ruzzier. Ma su due giocatori non può contemporaneamente applicarsi...

Non particolarmente felice, peraltro, è parsa anche la scelta di Cagnardi di perseverare con i cambi sistematici perché la natura dei suoi interpreti mal si concilia con la richiesta del coach. Forse organizzare un cambio ma a tre, con un lungo che rileva sempre un piccolo dentro il pitturato avrebbe dato qualche frutto diverso.

Tornando al coach, si è un minimo ravveduto riguardo l’utilizzo delle rotazioni, dopo che in gara 1 l’ottavo e il nono della panchina avevano avuto uno spazio complessivo di un paio di minuti, incrementati a 13 nel secondo atto. Perché anche se non ti fidi troppo di alcuni tuoi cambi, in una serie di gare così ravvicinate appare indispensabile far ricorso a un uso più ampio possibile della rosa.

Un’ultima considerazione: peccato non aver approfittato di tutto quell’affetto e quel calore manifestato dai 12mila e più tifosi presenti nelle due partite, rifilando in buona sostanza un gran calcione a quella buona sorte che, grazie all’eliminazione di Forlì in semifinale, aveva consegnato e garantito a Cantù - a sua insaputa - il considerevole vantaggio del fattore campo. Così ora sarà un casino far risultato, due volte di fila, lassù in cima all’Adriatico, ma la S.Bernardo è priva di alternative. Se vuole ritrovare l’infinito amore di Desio dovrà sottomettere Trieste nel proprio giaciglio.

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