Cagnardi in redazione: «Siamo in finale e non per caso»

Intervista «Siamo preparati. Arriviamo a questa finale con qualche certezza in più rispetto a una stagione di alti e bassi»

Carta, penna e pallone da basket. La finale promozione tra Cantù e Trieste si gioca, prima di tutto, nella redazione de La Provincia. Grazie a Devis Cagnardi, tecnico dell’Acqua S. Bernardo, che ha accettato il nostro invito e si è prestato al giochino. A qualche ora dall’esordio e giusto per sdrammatizzare un po’.

Coach, ci siamo. Alle 20.30 di martedì a Desio il via.

Siamo preparati. Arriviamo a questa finale con qualche certezza in più rispetto a una stagione di alti e bassi. Sono state finora serie probanti, nonostante i due 3-1. Con trappole e difficoltà. Fisicamente difficili e atleticamente diverse.

Come arrivate alla finale?

Sapendo tutto quello che c’è da affrontare. Un’avversaria ostica, preparata e forte. Con destino e stagione molto simili alla nostra. Una piazza importante, che arriva dalla serie A e che voleva e vuole tornarci presto.

Ma che ha vissuto momenti complicati...

Ha avuto sì qualche problema, ma ha saputo stringersi a sé e superarli. Diciamo che Trieste ha già sofferto parecchio e proprio l’aver affrontato frangenti di difficoltà ha ricompattato gruppo squadra e società. E ora, come noi, ha extra motivazioni.

Siete dove dovevate essere e, mai come stavolta, ve lo siete meritati, indipendentemente dai destini altrui.

Non era scontato, ve lo assicuro. Ma ce lo siamo guadagnati. In una stagione non facile e in un’A2 ancora più complicata del solito, con tante realtà che ambivamo a essere dove siamo noi adesso. Non ci ha regalato niente nessuno. Se siamo qui è grazie alla nostra bravura ed è ciò che ci dà forza anche prima di questo nuovo momento decisivo.

Qualcuno, a un certo punto, ha detto e scritto che questa era la squadra meno competitiva delle tre nelle stagioni di A2. Irritato dalle definizioni?

Non spetta a me giudicare. Confermo l’annata non semplice in un campionato non facile. Siamo partiti con una certa solidità alla ricerca dell’identità. Non hanno aiutato certo il noto avvicendamento della guida tecnica e gli infortuni iniziali. Qualche volta sembrava non riuscissimo a uscirne. Altre abbiamo messo assieme tonfi fragorosi nel mezzo di serie di vittorie. Ma una cosa non è mai venuta meno.

Quale?

La voglia e la possibilità di reagire del gruppo. L’abbiamo sempre fatto. Anche davanti al cambi di roster, con l’inserimento di un giocatore importante come Moraschini, che andava a caccia di conferme per se stesso, vista la lunga inattività, e per il gruppo.

Fase a orologio con rendimento a tratti inquietante...

Non bene. Con sconfitte destabilizzanti, anche in ottica gruppo squadra e guida tecnica. È li che siamo usciti con la nostra forza.

Ma non avevate alternative...

O facevamo switch o correvamo il rischio di buttare tutto a mare.

Soprattutto dopo Cividale.

Una sconfitta nei numeri importante. Più che una questione tecnica, l’impressione che il gruppo squadra fosse disunito. Però c’è stato un trampolino, là in fondo, sul quale abbiamo rimbalzato. D’altronde non avevamo più tempo. La squadra aveva forse un peccato originale: la presunzione - e non necessariamente accezione in negativo - della forza di singoli. Può essere un problema. negli sport di squadra. Quindi, o si faceva o non si faceva.

Veniamo a Trieste.

Roster diverso dal nostro. Senza conoscere, al di là di quello che si sa, città e piazza, con un destino però simile a Cantù. Retrocessione dalla A, gruppo di altissimo livello, la forza dei due stranieri e un nuovo grande progetto dietro la squadra. Insomma, tutte le condizioni per riprovarci subito. Poi qualche sconfitta di troppo e la cultura sportiva italiana, che ci teniamo, a enfatizzare gli insuccessi. Hanno forse lasciato il segno, ma poi hanno anche costituito la base per riprovarci. Dando motivazione extra ai giocatori, e anche qui vedo una similitudine con noi.

Quanto può avere influito l’allenatore americano alla prima esperienza italiana?

Sono convinto che la pallacanestro si alleni e insegni indipendentemente dalla categoria e dalla realtà. Jamion Christian è un ottimo allenatore, che ha dato una filosofia ben delineata in attacco, ma che ha saputo trovare anche un equilibrio in difesa. Sarà difficile, per noi, con quel mix di giocatori di classe cristallina e di categoria.

C’è il precedente della fase a orologio con punteggio altissimo e vostro successo in volata.

Loro hanno certamente mantenuto quell’identità offensiva, noi eravamo tanto diversi, forse più sbarazzini nelle giocate con possessi e a ritmo altissimo. Adesso siamo cambiati e abbiamo portato la nostra pallacanestro su altri temi. Attenzione però alle loro giocate estemporanee, che si alimentano di fiammate.

Mai avuto l’impressione, per come s’è messa la stagione, di essere salito su un treno in corsa a 250 all’ora e non avere ancora goduto appieno la sua Cantù?

Sono convinto di vivere le stesse sensazioni di ogni mio altro collega. Per noi allenatori professionisti, questo è un mondo che risente della mentalità sportiva italiana: per cui risultato, giudizio e ricerca della vittoria. È stata una stagione con avvicendamenti a livelli temporali non semplici. La parte preponderante è stata quella di riuscire a isolare la squadra. Sul fatto di godermi la situazione, c’è poco spazio, così come poco tempo. Spero di potermelo permettere, un domani. Soddisfatto di quello che abbiamo e ho fatto. Sapendo di aver dato sempre il massimo.

Quali segreti dietro una stagione movimentata?

Ho sempre cercato di lavorare pensando di arrivare alla fine. Dove siamo adesso. Una presunzione talvolta placata da un’annata non facile. Ma, io e il mio staff, che ha lavorato tantissimo, siamo sempre stati concentrati sul presente. Non esistono, in questo mondo, progetti a uno o due anni, ma bisogna andare avanti di settimana in settimana. Una sorta di trenta progetti, quante sono le partite, a stagione.

Nei momenti più bui dove ha trovato la forza per non abbattersi?

Di fronte all’onda emotiva non è mai facile, ma non è nemmeno nel mio carattere piangermi addosso. So bene come funzionano le cose e i rischi che si corrono. La famiglia, ovviamente, è stato il porto più sicuro. Un figlio e una moglie, che sono tutto per me. Ma è stata la reazione della squadra a darmi più fiducia. Sentirmi parte del progetto. Essere capaci, dopo gli errori e quando sembri indifendibile, di rialzare la testa.

Confidando che possa arrivare l’ora del “dedicone” conclusivo, a chi dedica la finale?

Ai nostri tifosi, perché fare il mio lavoro con questo tipo di seguito è esaltante. Alla società, che ha creduto in me anche quando sarebbe stato facile trovare alibi. Al presidente Allievi, che ha fatto quadrato con i dirigenti aggiungendoci tanto di suo dal punto di vista personale e confermando un livello di umanità molto elevato.

Dalle 20.30 di lunedì alle 23 di potenziale gara cinque del 15 giugno può succedere di tutto. Ha provato a porsi dei limiti temporali?

No, torniamo al concetto dei famosi trenta progetti di una stagione. Io non riesco a pensare oltre a gara uno di martedì. Il fattore campo è importante, ma loro hanno vinto due volte a Torino, dove solo noi e pochi altri c’erano riusciti, e altre due a Forlì, che era un autentico fortino. Ma anche noi siamo passati a Cividale, dopo il loro percorso netto nella fase a orologio, e a Udine, dove non erano abituati a perdere. Quindi, giochiamoci questa finale.

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