Pallacanestro Cantù / Cantù - Mariano
Giovedì 28 Novembre 2024
«Cantù ha i numeri. E come Pesaro non può stare in A2»
Riva, doppio ex: «Lo dicono la storia e la piazza. Come del resto accade per la Fortitudo»
Estate 1994. La Scavolini Pesaro, che ha appena perso la finale scudetto in cinque partite contro la Virtus Bologna, perde alle buste anche la sua stella, Carlton Myers, che torna a Rimini in A2. Il tecnico Valerio Bianchini, allora, ha un’intuizione: portare in riva all’Adriatico il Bomber dei bomber, al secolo Antonello Riva, a Milano da cinque stagioni.
Si apre così la terza parentesi di club del capocannoniere di tutti i tempi in A e in Nazionale. Chiamato, ironia della sorte, a vestire la maglia di colui che unanimemente era stato designato il suo erede. E, così, l’Antunel formatosi a Cantù alla corte degli Allievi non scende dalla giostra della Coppa dei Campioni, anche lontano dalla Brianza e della metropoli.
Riva, domenica c’è Pesaro-Cantù, un inedito per l’A2. Non le piange il cuore vederle laggiù?
I tempi cambiano, inconfutabile. Ma qui siano davanti non solo a due società storiche, bensì a club che hanno scritto la storia della pallacanestro italiana. Strano dirlo, lo so, ma al pari di altre blasonate, e su tutte penso alla Fortitudo Bologna, in A2 non si possono vedere.
Cantù e Pesaro - vuoi per tradizione baskettara, vuoi per blasone - poi, paiono molto molto simili...
Simili? Io direi uguali. E non c’è come vivere la piazza per accorgersene. Là, come qui, bastava uscire a prendere pane o giornale per essere riconosciuti. Qui, tra piazza Garibaldi e via Matteotti, era un continuo fermarsi a parlare con i tifosi, là c’era il lungomare e il centro storico per trovare quello che arrivava persino a dirti che avevo alzato le tapparelle mezzora più tardi del solito...
Una presenza mette pressione: positiva o negativa?
Bisogna vedere il modo in cui uno la interpreta o la sopporta. Io, che arrivavo da cinque anni a Milano nei quali nessuno ti filava o riconosceva, mi ero fatto le ossa a Cantù. Quindi ci ero abituato. Arrivo a dirvi, anzi, che un attaccamento del genere a me è sempre piaciuto e che è stato un ulteriore spinta al modo di essere atleta e lavorare.
Che ricordi ha dell’esperienza alla Vuelle?
Due anni bellissimi, in un posto dal livello qualitativo molto elevato, sia che si pensasse alla squadra sia allo stile di vita. La prima volta per me e Marina in una città di mare. Nessun rischio, zero imprevisti. Vi racconto solo che era il periodo della autoradio estraibili e noi nemmeno chiudevamo la macchina...
E dal punto di vista meramente sportivo?
Primo anno un po’ sfortunato. Valerio (Bianchini, ndr) cercava il play giusto e ha puntato tutto su Lloyd “Pisellino” Daniels, che era un fenomeno, ma non adatto al nostro gioco. A fine stagione, poi, la società fece forse il grave errore di smantellare la squadra, pensando che tutti insieme io, Dell’Agnello, Magnifico e Costa rischiavamo di essere in troppi arrivati a fine corsa.
Ricordi più nitidi?
Uno dei primi in assoluto. Barrage di Coppa Italia a inizio stagione. Vinciamo a Modena di 41, al ritorno dico a Marina: “Più che dirigenti, mogli e fidanzate vedrai che arriverà nessuno al palazzo”. Invece arrivo e trovo tutto esaurito, in un anno nei quali non si vendevano biglietti, perché erano tutti abbonati. Giocavamo ancora in viale dei Partigiani, rimasi incredibilmente sbalordito dall’atmosfera dei 4.400 presenti
Lei che era arrivato lì al posto di Carlton Myers...
Mi chiamò Valerio, e a lui non si poteva dire di no, nemmeno se arrivavi da tutto quello vinto a Cantù e dagli anni all’Olimpia. Come sempre è accaduto, lui non si scomponeva davanti a scommesse tipo queste: la società e la piazza perdevano il giocatore di riferimento e sul quale su cui costruire il futuro, e lui si affidava a uno dei più navigati del campionato.
Pressione, dunque. E attese?
Pressione di certo, ma io ci ero abituato. In un ambiente di per sé bello frizzantino e abituato ai grandi risultati. Ma se c’è un’altra cosa nella quale il Vate è maestro è il fatto di saper mettere a proprio agio i giocatori, alleggerendo, e di molto, il livello di stress.
Veniamo ai giorni nostri...
Alla Pesaro e alla Cantù in serie A2, dunque?
Questo è quello che passa il convento.
Ditemi, allora
No, ci dica lei. Che idea s’è fatto dell’Acqua S. Bernardo?
Tra palazzetto e tivù, posso dirvi di aver visto quasi tutte le partite fin qui.
E quindi?
Quindi la squadra mi piace, molto.
Nonostante i quattro punti di distacco da Rimini capolista?
Ha giocato sei partite senza un americano, eppure è lì. E adesso con quel Basile italiano...
Cosa l’ha colpita maggiormente?
Vista da fuori, e magari voi potete confermarmelo, vedo lo spirito giusto. Giocatori che stanno bene insieme e che si aiutano l’un l’altro. Senza risparmiarsi. Spesso ciò conta più di una squadra di grande caratura.
Se lo dice lei che qualcosina ha giocato e vinto...
Dico che la strada intrapresa è quella giusta. Bravo l’allenatore Brienza a dare questa impronta. Adesso poi che rientrerà McGee e che la società ha in mano il jolly del tesseramento di un nuovo americano non potrà che andare pure meglio.
Da qui a vincere, però...
Lo so, lo so. Per farlo ci dovrà essere il contemporaneo allineamento di più fattori. Ma questa Cantù non sta certo male.
Un suggerimento?
Inutile darlo. Così come lapalissiano può sembrare il consiglio di puntare dritti sul primo posto finale ed evitare la lotteria dei playoff.
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