«Era forte la mia Cantù. Ora faccio
il pasticciere»

Shaun Stonerook, il ricciolone dell’Ohio, si racconta tra passato e presente

Ehi, ma quello è Shaun Stonerook. Sì, non ci sono dubbi. Quell’americano a passeggio in città, in viale Geno, con la famiglia è proprio lui, il “ricciolone dell’Ohio”, protagonista per quatto stagioni alla Pallacanestro Cantù. Il Re Leone - per via della folta criniera, appunto - avrebbe poi ruggito per altre sei a Siena stabilendo il record dei 6 scudetti in 6 anni (uno poi revocato) e giocando due final four di Eurolega. Ma questo è un altro discorso...

Sposato ormai da 11 anni con la cucciaghese Manuela Caspani, Shaun è due volte papà, vero?

Confermo tutto... Manu e io abbiamo due figli: Alexi che ha 11 anni e andrà in prima media e Kai, 9 anni, ormai prossimo alla quarta elementare.

Che padre è?

Attento. Li seguo molto con la scuola e gli sport.

Che fa ora negli Stati Uniti?

Vivo a Westerville, nelle contee di Delaware e di Franklin, Stato dell’Ohio, dove tempo fa ho acquistato la Schneider’s Bakery, una pasticceria storica che esiste da 60 anni. Lavoriamo lì sia io sia Manu.

Cioè, ora fa il pasticciere?

Faccio tutto. Sto in ufficio, alla cassa, friggo le ciambelle e faccio il pane o i donuts se c’è bisogno di aiuto... Tra l’altro ho scoperto di essere molto bravo! È capitata l’occasione e ci siamo buttati in questa nuova avventura lontano dal mondo della pallacanestro.

Un problema mantenere la linea...

All’inizio è stata dura, ma poi ci si abitua a convivere con i dolci, nel senso che a un certo punto ti viene anche a noia continuare a mangiarne.

Ma subito dopo aver concluso la carriera di giocatore, cos’ha fatto?

Mi sono goduto la mia famiglia per un po’ prima di comprare la pasticceria.

E ora che ci fa in Italia?

Torniamo ogni anno a trovare la famiglia di Manuela a Cucciago. Questa volta ne abbiamo approfittato per trascorrere anche un paio di giorni a Parigi.

Ha conservato amicizie con qualche compagno delle stagioni canturine?

Certo che sì. In particolare sono in contatto con Rimas (Kaukenas, ndr), Bootsy (Thornton), Ryan (Hoover), Dan (Gay) e diversi altri.

Per lei il basket è stato soprattutto difesa. Poco appariscente, ma tanto utile. Concorda?

Direi di no, non mi riconosco in questa definizione che pure so aver ricevuto molto credito tra gli addetti ai lavori. Con altrettanta onestà dico che non sono mai stato la star della squadra.

È d’accordo con chi ha definito il suo basket “essenziale”?

Boh, non saprei.

Di sicuro è stato quel tipo di giocatore che ogni compagno avrebbe sempre voluto al proprio fianco.

Bisognerebbe chiedere a ciascuno di loro...

A Cantù i “fab four” (Stonerook, Thorton, Hines e Mc Cullough) sono entrati nella storia del club. Oltre a essere giocatori forti, qual era il vostro segreto?

C’era tanto affiatamento: ci capivamo sul campo e fuori.

Il compagno più forte nei suoi anni a Cantù?

Credo proprio di poter rispondere Bootsy Thornton.

E del suo coach di allora, Pino Sacripanti, che pensa?

È stato un bravo allenatore, lo ricordo sempre con piacere.

La famiglia Corrado cos’ha rappresentato per lei?

È stata senza dubbio un punto di riferimento negli anni in cui ho vissuto a Cantù.

C’è una partita, in particolare, che ricorda con più piacere?

La Supercoppa vinta a Treviso.

È stata più grande più la gioia per aver sollevato quella Supercoppa o l’amarezza di aver perso gara-5 di una semifinale scudetto?

L’amarezza di quella sconfitta alla “bella” a Bologna con la Fortitudo. Sono sempre stato uno a cui vincere importava più di qualsiasi altra cosa.

Si è ritrovato in seguito con Siena ad avere Cantù spesso quale principale avversaria per lo scudetto e i vari trofei. Giocava bene quella Cantù, vero?

Giocava bene.

Giocava anche meglio di quella di cui aveva fatto parte?

Non credo. La “mia” Cantù era uno spettacolo oltre che forte.

Ci ricorda la sua infanzia travagliata?

Sono stato adottato a nove mesi, da Hank e Janet. Papà è ingegnere, mamma lavora nei Servizi Sociali e si occupa proprio di bambini. Ho una sorella, Amy, che è figlia biologica dei miei. Prima di incontrare loro, stavo in istituto.

Torniamo al presente: ha iniziato a perdere qualche capello…?

Si, credo sia normale!

A proposito, li ha pettinati qualche volta in vita sua?

Più spesso di quanto ci si immagini.

C’è qualcosa che le manca dell’Italia ora che è tornato definitivamente negli Usa?

Come accennavo, torno qui tutti gli anni a trovare la famiglia di Manu quindi direi di no. Ho l’opportunità di stare con i suoi familiari e con gli amici comuni oltre che di mangiare tante pietanze gustose che in Usa neppure ci sogniamo.

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