Pallacanestro Cantù / Cantù - Mariano
Mercoledì 01 Gennaio 2025
«Il mio grande 2024 e la S.Bernardo che ora se la gioca»
Brienza, allenatore di Cantù: «Un po’ come nella MotoGp siamo in prima fila. Servirà lo scatto migliore»
Non fosse uno perennemente impegnato a guardare avanti, potrebbe anche pensare di spostare all’indietro le lancette dell’orologio. Per godersi ancora un po’ questo magnifico 2024. Allenatore dell’anno in serie A, Oscar del basket Premio Reverberi, Final Eight di Coppa Italia e playoff con Pistoia: meglio, da tecnico di squadra neopromossa, non poteva fare. E adesso tenta un’impresa difficile quanto suggestiva: riportare, da canturino, la sua Acqua S.Bernardo là dove merita di stare.
Coach Nicola Brienza, un caffè?
Grazie. Anche se fra poco si va a tavola.
Sta per chiudersi il 2024: proviamo a sezionarlo insieme?
Pronti.
I primi sei mesi fantastici.
Oggettivamente esaltanti. Con Pistoia avevamo vissuto un primo mese e mezzo di stagione un po’ difficile. Poi gennaio è coinciso con il cambio di passo.
Alla conquista di traguardi insperati...
Un rendimento costante che ci ha portati alla Final Eight di Coppa Italia, con tutta l’emozione e il piacere di esserci. Così come, dopo le 8 vittorie in 9 partite passata la sosta per la Nazionale, per i playoff.
Fino a quell’interruttore che ha spento tutto, in un attimo.
Effettivamente è stato il punto di non ritorno. Da un mese e mezzo, per me e per chi mi stava al fianco, c’era la curiosità di capire quel che sarebbe stato. Ron Rowan era già arrivato da aprile, ma più che buongiorno e buona sera non si aveva l’idea di quel che sarebbe potuto essere.
Anche se lo voci...
Anche se le voci dicevano che sarebbe arrivato con grandi possibilità economiche, situazione alla quale non eravamo abituati. E, allora, via con i sogni. Avevo contratto, pensavo proprio fosse il momento di portare avanti il progetto. Continuandolo e ampliandolo.
Fino a quando?
Fino al momento del brusco risveglio. Nel primo pomeriggio di un lunedì, quando parlando faccia a faccia con Ron capì che non c’erano più le condizioni per proseguire.
E il miglior allenatore del campionato che resta a piedi...
Una chiacchiera con qualcuno c’è stata, senza che il progetto si concretizzasse.
Con Cantù, invece...
Sinceramente, non avevo tutta questa voglia di tornare in A2, dopo averla appena vinta. Anzi. E infatti, pur parlandone e soprattutto ringraziando coloro che erano venuti a offrirmi un lavoro, avevo sempre declinato.
A una telefonata, però, non ha saputo dire di no.
È arrivata al mio agente la chiamata di Sandro Santoro. E tutto diventava un altro discorso. Di sfida e di cuore. Cantù è Cantù. Ha prevalso, diciamo, l’aspetto umano.
Si spieghi meglio.
Lo stimolo e il piacere di sposare questa nuova avventura hanno avuto la meglio anche sulla razionalità di dover pensare alla carriera. L’avevo lasciata, Cantù, nel pieno dell’ennesimo ribaltone e sei anni dopo era arrivato il momento di accorgersi che tante condizioni erano cambiate.
Cos’ha ritrovato, riaprendo casa?
Una società estremamente organizzata e di altissimo livello. Con figure e responsabilità chiare e ben distribuite. La struttura è cresciuta tantissimo. Me la ricordo io, quella notte dal notaio Manfredi. Con la telefonata di Mauri a dirmi “domani puoi continuare ad allenare” e proprio lui, con Antonio Biella e il sottoscritto per l’aspetto tecnico a mettersi a lavorare e ricostruire dal nulla cosmico. Ora qui c’è una componente di grande qualità e conoscenza, malgrado si sia così giovani d’esperienza. Oltre a Lorena in amministrazione e al presidente Allievi in tolda del glorioso passato c’è traccia solo nei ricordi.
Quale il pregio maggiore?
Che la gente che è entrata è motivata, che sa che si può imparare dagli errori e che alla base ha una grandissima voglia di fare, di migliorarsi e migliorare. Non avere un proprietario, ma tante figure che si adoperano è davvero tanta roba.
Mamma mia, quanto zucchero. Non rischiamo di cappottare?
So dove volete portarmi.
Dove? Ce lo dica lei.
A dire quel che non va. Ma non ci sono cose che non funzionano. C’è il rovescio della medaglia. Quella che io chiamo la Cantù fuori di testa totale. Dove sono ansia e frustrazione, talvolta senza senso, a prendere il sopravvento. Chiaro che ci siano delle cicatrici: l’era Dmitry, la retrocessione, tutti i tentativi di ritornare su. Fatti che segnano, indiscutibilmente, e ogni volta che ti guardi allo specchio sono lì. Le vedi, le cicatrici, e ti danno fastidio. Ti fanno male.
Dunque?
Lo vedevo da esterno, negli anni in cui sono stato via. Me ne sono accorto, ora che sono tornato. Dal primo dei dirigenti all’ultimo dei tifosi, semmai esistesse un ultimo, l’impegno deve essere di tutti. Per superare questo limite.
Da Ferragosto lavora con una squadra che sbagliamo a definire sua?
Assolutamente no. Pensata e costruita insieme a Sandro. Ovvio, figlia delle trattative e delle regole del mercato. Ma al di là del fatto che potesse arrivare Tizio al posto di Sempronio, questo è il gruppo che volevamo. Per lunghezza del roster e caratteristiche dei giocatori. Tutte le indicazioni sono figlie delle riflessioni.
Tornasse indietro, ora che sta finendo l’andata, cambierebbe qualcosa?
Niente. Come in tutte le cose, quando inizi un percorso, pensi a quel che può essere funzionale all’idee iniziale. Vi dico che siamo ancora meglio della situazione che pensavamo. Dopo quasi un girone di andata, sono contento delle scelte. Che rifarei.
Nel senso che siete dove dovete essere?
Chiaro, con tre sconfitte in meno saremmo tutti più felici. Ma questo fa parte dell’irrazionale e del sogno. La realtà è che la prima ha vinto 14 partite e la nona 10. Se ci pensate, la differenza sostanzialmente la fa lo scontro diretto.
Voi, quantomeno, alla ricerca di continuità di risultati, vi siete sempre ripresi dopo ogni sconfitta.
Vero, non ne abbiamo mai perse due di fila, a differenza di altri e anche in questo periodo. Ma era impensabile vincerle tutte. Ogni nostra sconfitta, paradossalmente, si porta dietro un perché o un per come. L’unica che non mi va giù è quella in casa con Udine. Per come l’abbiamo giocata e per come da allenatore ho sbagliato cose che non dovevo.
In mezzo a tutto questo equilibrio, come si esce vivi?
Pensando al fatto che nei prossimi due mesi giocheremo undici partite, con un paio o tre di doppi turni. Quindi cercando di sbagliarne di meno, perché davanti avremo sempre meno tempo.
Di certo adesso, davanti, avete due squadre a soli due punti.
Mi piace pensare alla griglia di partenza della MotoGp, con tre piazzole sulla prima fila, contro le due della Formula 1. E, allora, lì ci siamo. E vogliamo avere uno scatto brillante, arrivare alla prima curva nella miglior posizione possibile per poi lanciarci sul rettilineo. Si può fare.
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