«Mercato folle. Ma con le migliori c’è anche cantù»

Santoro: «Il secondo straniero? Sarà il migliore possibile per il gioco di Brienza»

Là, dove un giorno magari - chissà - qualcuno riuscirà davvero a costruire un collegamento tra continente e Sicilia, lui sta completando un ponte: quello che, nell’auspicio non solo dei tifosi, dovrebbe (ri)unire Pallacanestro Cantù e A. Manca, a guardare bene, un solo pilone e dovrà essere tra i più grandi, ovvero il lungo americano.

Sandro Santoro, responsabile dell’area tecnica dell’Acqua S. Bernardo, è tornato a casa per qualche giorno a Reggio Calabria, ma la vacanza si fonde, ore e ore al giorno, con il lavoro di completamento dell’organico.

Che sta facendo, Santoro?

Sto, anzi stiamo, cercando di costruire una squadra.

Niente di nuovo, un po’ quello che fanno tutte le altre diciannove avversarie. Ma voi siete Cantù...

Infatti, per farlo, abbiamo scelto il migliore allenatore di tutti. E non lo pensiamo solo noi, convintamente, ma l’hanno detto gli altri, nominandolo mvp dell’ultimo campionato di A.

Quanto le è piaciuto Nicola Brienza?

Tantissimo. Allenatore giovane, però già con la giusta esperienza. E ancora fresco di promozione in A e poi di un campionato di altissimo livello.

D’accordo su tutto?

Assolutamente sì. Condividiamo idee e progetti.

Comprese le indicazioni di mercato?

(Ri)assolutamente sì. Perché chiedete ciò?

Mai pensato di cambiare strategia e puntare su un centro straniero invece del “quattro” chiesto dal coach stesso?

C’è forse stato un momento in cui poteva diventare un’opzione.

E invece?

Ciò che si fa forse fatica a comprendere da fuori è che non sempre siamo noi che possiamo determinare cosa fare e cosa no. Non sempre si può governare il mercato. Anzi, spesso è il mercato che ti suggerisce le mosse, ovviamente in relazione anche a budget e disponibilità dei giocatori, specie a scendere di categoria.

È quanto accaduto a voi?

Trovare un “4” italiano, tanto per fare esempio, si sono rivelate una situazione e un’ operazione complesse, se non impossibili, per via dei costi al di fuori di ogni logica, scontrandosi contro giocatori che volevano solo giocare in A, penso che il trasferimento di Mobio a Brescia lo confermi. Non è dunque automatico mettere a segno quel che ti eri proposto.

Eppure voi, molto in controtendenza, qualcuno - e di importante - dal piano di sopra lo avete preso.

È vero.

Particolare non di poco conto...

L’idea, anche dopo l’esito dell’ultima stagione, era alzare il grado di personalità e competitività della squadra. Con un play italiano di valore come Andrea De Nicolao, e lo dice il curriculum prestigioso, ci siamo riusciti. Stesso discorso per Tyrus McGee, che sempre ha gravitato in club di prima. Evidentemente, siamo stati bravi a stimolarlo e a sensibilizzarlo: a 33 anni resta un giocatore dal potenziale fisico, atletico e tecnico di altissimo livello.

E non sono neanche gli unici...

Di Matteo Piccoli mi è molta piaciuta la disponibilità messa in campo fin da subito. Così come la voglia di Jonas Riismaa, e, in più, non sottovaluterei il ruolo e la presa di uno come Fabio Valentini, giocatore di lusso per la categoria.

Ma come è cambiato il mercato degli italiani?

Stiamo vivendo un momento particolarmente eccezionale rispetto a quanto visto negli ultimi dieci anni e forse più. In A2, da sempre, abbiamo trovato gente che scommetteva su se stessa per avere un’opportunità al piano di sopra. Invece adesso sembra di essere davanti a dimensioni e sembianze mai viste, con il campionato quasi come un punto di arrivo.

E cosa cambia?

Che sono aumentate le richieste in maniera non preventivabile. E che ci sia stata un’impennata dal punto di vista tecnico e di competizione che ha inevitabili ricadute su società e budget.

Stesso discorso per gli stranieri?

Ogni giocatore ormai ha anche un agente di riferimento in Italia e gli stessi agenti sono stati abili a cogliere pure loro l’occasione, accorgendosi dei cambiamenti in atto.

Ma da cosa dipende?

Dal fatto che ci sia da inseguire una promozione diretta - e ciò aumenta la competizione - prima ancora che una seconda tramite i playoff. Per giocatori di una certa importanza, adesso sicuro ma chissà che non sia sempre così, non è contemplata la possibilità di scendere di una categoria.

Lo avete toccato con mano?

Non solo noi, direi. È anche capitato che, pur davanti a offerte dai valori economici importanti, ci si sia trovati di fronte a giocatori che ritengono un deprezzamento di carriera, e non un’opportunità, giocare in una seconda lega. Meno male che McGee è di tutt’altra idea.

Non è, per caso. che lei stia mettendo le mani avanti per la mancata chiusura del secondo lungo?

No. Naturale che nel ruolo il mercato si restringa, e di molto. Lo conferma anche la ricerca delle altre squadre che hanno puntato sui lunghi. È un lavoro più complicato e che necessita di ulteriori riflessioni. Ma penso che per metà della prossima settimana saremo in grado di dare il miglior giocatore possibile al nostro tecnico.

Con che caratteristiche?

Quelle che ci siamo detti in precedenza, riferendoci agli italiani. Cerchiamo elementi funzionali al concetto di squadra e che possano completarsi con quanto di molto buono abbiamo già nel roster e con le idee di gioco di Brienza.

A organici ancora da completare, chi vede davanti?

Un gruppo di squadre, già attrezzato e ancora in formazione (così come potrebbe diventare l’Urania, ad esempio). Sono sette o otto le società che, fin d’ora, possono ambire alla promozione diretta. Noi siamo tra queste. Ma ho anche mille motivi e mille sensazioni per pensare che ci sia certamente Pesaro davanti a tutte, anche per l’esperienza del suo allenatore Sacripanti. E lì, con loro, Udine, che avrà le stesse luci della ribalta puntate addosso, Forlì, Verona e Rimini, oltre alle outsider che ogni anno si fanno valere.

Ma non si sale solo con il primo posto...

Lo so bene. Ecco perché ho detto che ci siamo anche noi.

Bella frenata rispetto a quando, Natale scorso, disse che Cantù sarebbe stata certamente promossa...

Chi mi conosce bene sa che nessuno avrebbe mai potuto strapparmi, nemmeno sotto tortura, una dichiarazione del genere. Bisogna però capire il contesto perché mi ero sbilanciato. Dovevamo necessariamente pensare di compattarci, convivendo con il peso del pronostico. La situazione era complicata, molto complicata. Serviva una sorta di choc, poi la storia successiva, purtroppo, ci ha detto che il difetto originale è tornato a galla nel momento decisivo della stagione.

Cosa la fa stare un po’ più tranquillo, stavolta?

Mi ripeto. La certezza di avere fatto tutto quello che volevamo fare (e non abbiamo ancora finito), considerando anche quanto avevamo in casa. E sul maggiore livello di personalità non ho il minimo dubbio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA