Moraschini: «Sinner? Il mio stesso caso. Ma lui è stato assolto, io no»

“Contaminazione involontaria” per entrambi eppure l’esterno di Cantù rimediò un anno di squalifica per doping. «Ormai ho superato tutto, seppur restano dubbi e interrogativi»

«Perché Sinner è stato assolto e io no? La risposta non la conosco. Ma mi sembra chiara una cosa: lo sport è sport per tutti e le regole dovrebbero essere uguali per tutti, senza interpretazioni». A parlare, dopo i commenti sul proprio account “X”, è Riccardo Moraschini. Il cestista di Cantù, per una vicenda simile a quella che ha portato all’assoluzione di Sinner da parte dell’Itia - Tennis Integrity Agency -, l’agenzia mondiale sul doping per un’“assunzione inconsapevole”, ha invece dovuto scontare tra il 2021 e il 2022 una squalifica di un anno per positività al Clostebol, sostanza classificata tra quelle dopanti.

I fatti: il 6 ottobre 2021 Moraschini risultò positivo a un controllo antidoping, la positività al Clostebol gli venne comunicata il 21. Il giocatore rinunciò alle controanalisi, venendo fermato subito. Venne ascoltato mesi dopo, a dicembre, e condannato a gennaio per un anno. L’appello? Il Tribunale Nazionale Antidoping il 18 febbraio non reputò l’atto del giocatore teso ad alterare le prestazioni sportive, ma la squalifica venne confermata per un vizio di forma: Moraschini avrebbe presentato ricorso alla sezione sbagliata, ma su indicazione dello stesso tribunale. Tra l’altro, Moraschini portò in sua difesa la vicenda che riguardò Chris Burns, assolto per un caso simile nel 2019. Come nel caso Sinner - questa la difesa del giocatore - la contaminazione era avvenuta tramite la compagna, che si era ferita in cucina e si era curata con uno spray cicatrizzante a base di Clostebol.

Una vicenda che ha segnato Moraschini: «Ho avuto un danno economico e sportivo non indifferente: ero a Milano, la squadra più forte d’Italia e giocavo in Eurolega, traguardi che inseguivo fin da ragazzo. Grazie a Dio non sono stato “bollato”, sono riuscito a spiegare le mie ragioni, ma ritengo quello che ho subìto una vera ingiustizia».

Il mondo del basket ha quindi compreso la situazione: «Sia chiaro, sono contro il doping ed è giusto che ci siano regole ferree. Nessuno mi ha etichettato, tutti hanno capito che si è trattato di doping involontario. Tra l’altro, ed è risaputo, il Clostebol non migliora le prestazioni sportive».

La cosa per certi versi assurda è che il Clostebol è contenuto in uno spray e in una pomata liberamente venduti in tutte le farmacie italiane: «Se per una vicenda di doping da contaminazione parliamo di nanogrammi, considero la mia e altre vicende simili un’assurdità: siamo a contatto quotidianamente con decine di professionisti, medici, fisioterapisti e massaggiatori, tutti con famiglie. Quel farmaco è la prima cosa che si dà a chi si fa male. E allora, come possiamo controllare tutti?».

Moraschini non vuole entrare in polemica con Sinner, anzi: «Non sono arrabbiato, ormai ho superato tutto. Ma restano i dubbi e gli interrogativi. È possibile che un sistema così rigido abbia tanti aspetti interpretabili da chi li giudica e come è possibile che una contaminazione non dopante possa portare a squalifica come minimo di un anno?».

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