«Per me un privilegio “vivere” il Pianella. Cantù è tornata Cantù»

L’ex Paolo Avantaggiato, neo dirigente di Nardò in A2: «Emozionante e indimenticabile il triennio da team manager in Brianza»

Otto anni fa lasciava la Pallacanestro Cantù della quale era stato team manager nel triennio 2013-2016. E da allora aveva fatto perdere le proprie tracce nel mondo della pallacanestro di vertice. Ora, Paolo Avantaggiato, leccese di 47 anni, una laurea in Scienze della Comunicazione, è ricomparso in quell’ambiente avendo accettato di ricoprire il ruolo di general manager all’Hdl Nardò Basket in serie A2. E dunque, Cantù - nel frattempo e da mo’ riconducibile ad Acqua S. Bernardo - se la ritroverà presto da avversaria.

Dunque, Avantaggiato, che fine aveva fatto dopo essersi congedato dalla terra di Brianza?

Ho lavorato per sette anni alla clinica Colombus di Milano grazie all’offerta di Anna Cremascoli.

Dal basket alla sanità, altro che salto carpiato con alto coefficiente di difficoltà...

Avevo fatto una scelta di vita: i bambini erano molto piccoli e nella situazione un po’ particolare che si veniva a creare a Cantù decisi di uscire dal giro del professionismo mettendomi nelle condizioni di operare una scelta di responsabilità per costruire con più certezze il futuro mio e della famiglia. Però...

Però?

Nello stesso momento la mia passione non è mai morta, perché se sono venuto a Milano (dal 2005 al 2010 ha lavorato nel settore giovanile dell’Olimpia, prima di ricoprire per tre anni il ruolo di team manager per la stessa società) e poi a Cantù è perché sono partito da Lecce 22 anni fa per occuparmi di pallacanestro al nord, andando ad allenare - ho la tessera di allenatore nazionale -una piccola realtà (Social Osa, ndr). E così per sette anni sono tornato in panchina ad affiancare in parallelo quella che era la mia primaria attività lavorativa che riguardava comunicazione, marketing e l’aspetto organizzativo in senso lato della clinica.

E con Social Osa, facendo base dalla serie D è salito sino alla B Interregionale.

In questi sette anni mi sono divertito avendo avuto anche la fortuna di trovare al mio fianco una persona come Mario Governa. Quel respiro e quella voglia alimentata dai campi delle “minors” mi ha fatto tornare la voglia di provare a rimettermi in gioco.

Ma come è finito a Nardò?

Io credo tanto ai rapporti tra le persone e il mio approdo al club pugliese nasce dal fatto che uno dei due soci di maggioranza era un mio caro amico universitario che un bel giorno mi ha chiesto “Paolo, ma tu hai voglia di prendere in mano un po’ tutto?”. Ho una voglia matta, gli ho risposto e non se l’è fatto ripetere due volte. E così eccomi qui a confrontarmi con questa mia ennesima lucida follia.

Nelle vesti di general manager.

Ho la fortuna di entrare in un contesto societario al quarto anno di serie A e che è in continua evoluzione. Piccola realtà, con una tradizione relativa nelle minors, che si affaccia ai campionati importanti dapprima con Renato Niccolai e soprattutto poi con l’arrivo di Luca Dalmonte e Matteo Malaventura, rispettivamente allenatore e ds. Insomma, posso lavorare con personaggi di qualità e spessore, oltre che di notevole esperienza. Parto dunque da una base importante. È da un mese e mezzo che sono qui e ho provato a mettere in pratica ciò che mi hanno insegnato i sei anni di A, ovvero cosa non devo fare. Evitandolo, provo a sbagliare meno.

Che le hanno lasciato le stagioni in Brianza?

Tanto, ma in particolare uno striscione degli Eagles dedicato a Viola (la figlia che ora ha 9 anni e che fa compagnia a Francesco di 11, ndr), nata proprio lì, e soprattutto - ciò che mi legherà per sempre a quei ragazzi e a quella curva sentendomi uno di loro - quando venne a mancare alcuni anni fa improvvisamente mio padre e io da tempo non ero più nel giro dello sport professionistico, quella stessa curva espose uno striscione che io vidi in diretta tv senza saper nulla. Ancora adesso mi emoziona.

Come vede la lotta promozione?

Cantù, Pesaro, Brindisi e Udine sono decisamente le squadre che punteranno a salire anche perché hanno sostenuto spese considerevoli e vantano allenatori di qualità. Dire ora che una è meglio dell’altra, onestamente, non è consigliabile. Perché questo campionato è per la prima volta impossibile da decifrare per tutti perché con così tante partite e otto turni infrasettimanali, trasferte particolari, campi importanti, club blasonati, nessuno ora può aver la certezza riguardo la squadra che sarà destinata a salire. Ciò premesso, Cantù ha più di tutte dalla propria parte il fattore campo perché uscire indenni da Desio non sarà semplice per nessuno. E ancor di più, avere un figlio di quella terra in panchina (Brienza, ndr) se da un lato consegna al coach responsabilità ancor maggiori, dall’altro è anche colui che più di tutti ha il desiderio di conquistare la promozione. Traguardo che il club si merita. E anche la pallacanestro italiana ha bisogno che Cantù torni ai vertici.

Da fuori, in questi anni quali considerazioni ha fatto su Cantù?

Ho notato il passaggio epocale dall’era Gerasimenko a quella attuale, con una realtà societaria via via strutturata in modo più simile a quella che avevo vissuto io. Una società che faceva della canturinità il proprio punto di forza. L’identità di un club nasce dalle persone che ci lavorano dentro. Ho operato lì con persone che erano quasi tutte di Cantù: ero io lo straniero... A un certo punto questa identità si era un po’ persa, mentre poi la direzione è stata invertita. E non a caso oggi l’allenatore è tornato a essere di Cantù, praticamente l’intero staff medico è canturino, è rientrato un canturino d’adozione quale Sam Bianchi che reputo uno dei preparatori più “preparati” d’Italia. Questo non è solo un punto di partenza, ma pure un ritorno a un certo tipo di passato. Un segnale forte che si dà per cui anche un giocatore quando entra nello “spogliatoio B” capisce cosa vuol dire giocare per Cantù.

Quali immagini le resteranno dentro per sempre del suo triennio canturino.

Tre in particolare. La prima: un derby vinto contro Milano al Pianella al mio primo anno a Cantù. Io arrivavo proprio dall’Olimpia e potete capire... E il palazzetto era un finimondo. Ecco, una delle cose che mi fa più piacere e mi dà orgoglio è aver potuto avere il privilegio di poter vivere il Pianella. La seconda: sempre un derby vinto a Desio con una maglietta fenomenale che era quello che rappresentava il legno. E noi vincemmo contro una Milano fortissima. Il palazzetto e la curva degli Eagles sembravano il San Paolo. La terza è la conferenza stampa di presentazione di Metta World Peace nella sede di Acqua Vitasnella a Milano perché non mi è mai accaduto - neppure all’Olimpia - di vedere così tanta gente tutta assieme per un giocatore di basket. Per assurdo, sembrava, la presentazione di un grande calciatore. C’era veramente il mondo.

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