Caro vecchio Sinigaglia, siamo ancora qui. Quante emozioni vissute con te

Serie A Lettera aperta allo “stadio più bello del mondo”, che ventuno anni dopo torna regala al Como il palco più importante

«Caro vecchio Sinigaglia, come stai? Crediamo bene. Eccoci qua, di fronte a un’altra serie A. Roba da non credere. Un po’ perché ormai... chi ci credeva più? E un po’ perché le campane a morto sono suonate talmente tante volte, che avrai toccato ferro (cosa che non ti manca...).

Boh, qui parlano tutti di stadi nuovi, pieni di negozi, intrattenimenti, poltroncine... va bene. Comprendiamo le società di calcio, che solo con uno stadio moderno ed economicamente efficiente si possono autofinanziare; e capiamo i tifosi che sono stufi di prendere l’acqua in testa. Ok, però ogni volta che passiamo di lì, anche in mezzo alla settimana, e ci immaginiamo un cubo di vetro e cemento, al tuo posto, ci viene il magone. Che bello passare fuori dal lato distinti, ci passavamo sempre da ragazzini perché quegli spalti così imponenti, da fuori, ti facevano sognare quello che c’era dentro. Anche se era mercoledì, lì dentro non c’erano le coppe, avremmo fatto meglio a stare a casa a studiare invece che fantasticare su un prato invisibile. Quello scorcio esterno ci piace anche oggi, perché è rimasto intatto. Ci ricordiamo bene gli arrivi del Giro di Lombardia con Merckx che faceva il giro d’onore con i fiori in mano e noi nei distinti ad applaudire, ma anche a dire «siete contenti cari ciclisti di essere ospiti del nostro stadio?». E ci ricordiamo anche delle manifestazioni dei paracadutisti. I distinti pieni di gente con il naso all’insù, ma per noi frequentatori delle partite, la scusa per fare un salto d’estate dentro lo stadio, rivedere quel campo verde di cui avevamo già nostalgia. Poi venne la serie A del 1975. E le sortite, sempre d’estate, a sbirciare i lavori (mica come adesso che è tutto blindato e ti hanno incatenato e chiuso manco fossi un assassino). Avevano fatto i buchi sulla pista di ciclismo, e un po’ eravamo tristi per l’oltraggio alla pista, un po’ contenti perché le tribune dietro la porta facevano più calore, sembrava uno stadio nuovo. Erano belli i distinti pieni, era bella la scritta Seveso al centro di quel settore, era bello lo striscione del Como Club Carletto, che rimaneva lassù in cima alla tribuna, anche in settimana, l’unico. E gli allenamenti? Correvamo a vederli in bicicletta, ci mettevamo dove adesso c’è la curva del Como, ad aspettare i tiri alti a Fiore e Lattuada, per ributtarli in campo (mica rubarli...) e sentirci partecipi della squadra. E siccome la squadra di Rambone non era certo fatta di fenomeni (infatti retrocesse), di palloni ne arrivano tanti...

Ci ricordiamo la costruzione della Curva Azzurra. Via di corsa a fine scuola, per entrare e vedere come veniva eretta. Sembrava un grattacielo. C’era una attesa incredibile, prima di quel Como-Cremonese quando cambiammo curva e sembrava di vedere il mondo al contrario, però dominanti da lassù. E poi l’inaugurazione della nuova tribuna, in una notte di Como-Inter di Coppa-Italia, che vista dalla curva quel nuovo settore sembrava un Titanic illuminato che entrava in porto. Addio alle vecchie colonne che impallavano le telecamere in tribuna.

L’ultima serie A fu quella della Curva Como, eretta sulla spianata di cemento, che non abbiamo mai capito perché non l’hanno fatta dritta. E poi mille acciacchi, chiusura di quà, crollo di là. Oggi vederti così in forma, colorato, truccato, ci commuove. Forse la fine è davvero vicina. Ma li hai mandati tutti a quel paese, fosse anche l’ultima volta, e hai gridato a tutti, come Vasco: Io sono ancora qua. In serie A, alla faccia di voi, maledetti gufi. E noi siamo pronti a passare tante partite ancora con te. Evviva!».

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