Como: il grande giorno che sembrava utopia. Per la città è finito il tempo dei pisolini

Serie A Oggi il calcio che conta torna in riva al lago. Tutto esaurito al Sinigaglia per un sogno diventato realtà

A Como stanno succedendo cose che voi umani... avrebbe detto Roy Batty in Blade Runner. La città sonnacchiosa che faceva spallucce a ogni sollecitazione, è stata svegliata da un fragoroso boato. E nulla è stato più come prima. La scalata di Como nelle classifiche del gradimento mondiale è diventato un fatto inarrestabile. Guarda caso, poco tempo dopo la sua squadra di calcio è andata in serie A. E le due cose vanno necessariamente viste come un unico fenomeno. Legato l’uno all’altro. Ma tutte e due mettono spalle al muro la città. Ora o mai più. Como da qualche tempo è stata chiamata al centro del ring. Non è più tempo di pisolini. L’ondata di turisti sempre maggiore ha forzatamente cambiato la visione di chi vedeva il forestiero come una scocciatura. Da scocciatura a risorsa, il passo è breve e lungo al tempo stesso. Ma volente o nolente ci si è dovuti dare una mossa a gestire tutto questo viavai incredibile. Siamo meno che a metà del guado, ma qualcosa si muove. Nel bel mezzo della questione, ecco arrivare la famiglia Hartono, i fratelli indonesiani che hanno comprato il Como e si sono messi a viaggiare a una velocità sconosciuta per la città. Può essere uno choc, o può essere un stimolo. Vogliamo credere che sia più la seconda.

La serie A oggi è una faccenda seria, difficile, complicata. Chi organizza lo sport ad alto livello, come succede per i format televisivi tutti uguali usciti dalla mente di chissachi, ha imposto regole necessarie sulla strada del business. Se una volta, poniamo venti o trenta anni fa, ospitare una partita di serie A era una questione di difficile competizione sportiva e di un maggior numero di spettatori, oggi è una questione di struttura articolata e mastodontica, devi avere no stadio in un certo modo, preparare ospitalità di un certo tipo, organizzare spazi di un certo livello, arrivano le televisioni, gli standard di sicurezza, le questioni di immagine secondo le quali mandare in Arabia o negli Usa (facciamo un esempio non a caso) un settore di uno stadio deserto o peggio in disuso (come parte del settore ospiti del Sinigaglia) può essere un danno per tutto il sistema. Chi vuole fare la serie A, si deve dare una mossa. Scusateci, ma crediamo che se fosse stato per Como, la serie A sarebbe stata una chimera. Non per scelte calcistico o bravura sportiva, quella la puoi organizzare, ma per volontà di stare al passo con tempi. La serie A nel derelitto Sinigaglia, scomodamente piazzato in centro città? Impossibile. Invece gli Hartono, con la mano operativa di Suwarso, ce l’hanno fatta. Ora la partita, ogni domenica sarà doppia. Si dovrà vincere in campo, ma anche fuori. Siamo curiosi. Inutile fare paragoni con venti o trentanni fa, quando allo stadio ci andavano ventimila spettatori, cioè il doppio di adesso. Ora è un’altra cosa. Vedremo se le lamentele, gli ostacoli, i mugugni supereranno le gioie e le emozioni. Noi vogliamo credere che non succederà, anche se certo bisognerà aspettare le partite più delicate. Vogliamo credere che presto sarà tutto normale. Che ci sarà spazio per le discussioni sui gol e non sul traffico bloccato. Ma bisognerà fare un salto in avanti, fare sistema, imparare (per chi può) a usare i mezzi pubblici, ad andare presto allo stadio, aspettando un giorno di avere i famosi negozi e intrattenimenti, a uscire presto per la gioia di stare insieme, di condividere l’attesa, di non fare gli sprovveduti, arrivando tardi, creando code interminabili ai cancelli per poi sentire lamentele di chi finisce per entrare a fine primo tempo. Serve organizzarsi. Per meritarsi davvero la serie A.

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