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Giovedì 13 Marzo 2025
Cutrone sogna un gol nello stadio in cui è esploso
Sabato c’è Milan-Como, e per Patrick quella con i rossoneri non è una gara come tutte le altre. Arriva in un momento particolare, paga la rivoluzione tattica di Fabregas. Ma la gente è ancora tutta con lui
CALCIO
Toc toc: tutto bene Patrick? Forza! Questo vorrebbero dire i tifosi a Cutrone. Andare proprio a citofonargli a casa, incoraggiarlo, un abbraccio, una pacca sulla spalla e via. La gente soffre la sua panchina prolungata addirittura più di quanto non la soffra lui. Che non è certo contento di stare fuori, sacrificato sull’altare del Como senza centravanti, a volte superato a destra nelle scelte da Douvikas. Ma ancora perfettamente inserito nel gruppo, tifa per la squadra, esulta dalla panchina, ama ancora la sua maglia e la sua avventura azzurra. Lotta per la comunità. Ma la gente soffre. Quando lo vede entrare in campo, con la giacca della tuta, digrignando i denti; quando passa un tempo a scaldarsi e poi non entra. Hanno telefonato, alcuni tifosi, in redazione. La squadra va bene, Fabregas è un idolo, sarebbe fuori di testa parlare di malumori. Però Cutrone è Cutrone. In tre anni è riuscito a instaurare con la gente della sua città un rapporto di stima reciproca che raramente abbiamo visto in passato. Il suo baciare lo stemma al gol, la sua orgogliosa rivendicazione di “essere lariano”, hanno fatto breccia nei cuori azzurri che abitano sugli spalti.
Lo vedi, per esempio quando, a inizio partita passa in rassegna il settore distinti, che segue il suo passaggio come una “ola” spontanea. Va beh, tutto questo per dire che la gente aspetta il suo ritorno in campo, anche perché rappresenta il filo che unisce questa fantastica avventura degli Hartono al territorio, alla tradizione, al concetto di bandiera.
Però è vero che a Patrick spesso si chiede di andare a recuperare palloni in giro per il campo e non di stare là, negli ultimi 15 metri, per cercare la stoccata. E poi il dentro e fuori, se non addirittura le esclusioni. Comunque resta il miglior marcatore della squadra, sei gol e quattro assist. Fabregas ha scelto il falso nueve e la batteria dei fantasisti. Con quella sta facendo innamorare l’Italia: tocca aspettare. L’importante è che Patrick non si demoralizzi. Perché non c’è nessuno più bravo di lui a demoralizzarsi, a vedere tutto nero come fa lui. Ma Patrick è ancora vivo. Pronto a lottare. E se ci occupiamo di lui, è perché sabato arriva (anche) la “sua” partita. Milan-Como. E quando alle 16 di sabato il pullman azzurro farà l’ultima svolta in via Achille, prima di trovarsi faccia a faccia con San Siro, il suo cuore avrà un sussulto. Direte: ok, ma c’è già stato a San Siro quest’anno, a Inter-Como. Non è la stessa cosa. Troverà il “suo” San Siro vestito di rossonero. Lo spogliatoio con le frasi di Kilpin. Arrivò al Milan che aveva sette anni, da Parè. Su su su, sino alla Prima squadra, con il suo maestro De Vecchi. E poi un impatto clamoroso. Gli verrà in mente l’esordio con i grandi, nel maggio del 2017, Milan-Bologna 3-0, il giorno che riportò il Milan in Europa dopo tre anni. Si ricorderà dell’esordio in Europa League con l’Università di Craiova il 27 luglio, e il 3 agosto nella partita di ritorno il primo gol con i professionisti. E alla prima di campionato, a Crotone, la prima rete in serie A, in un frullatore dove si mischiavano colori, emozioni, aspettative, conferme, carezze di papà Pasquale: e dal frullatore usciva sempre il rossonero. La prima doppietta in Europa League all’Austria Vienna, soprattutto il gol che a Natale decise il derby di Coppa Italia con l’Inter, le corse sotto la curva, il mondo che gli sembrava tutto nelle sue mani. In un anno e mezzo nel Milan 63 presenze (toh, come il numero della sua maglia per tanto tempo) e ventisette gol.
Sabato è la sua partita. Fabregas va avanti dritto per dritto, non ama guardare alle circostanze, alle storie e alle sfumature ambientali. Si fida del suo istinto, spesso ci prende (come quella volta che decise all’ultimo secondo di mandare in campo il Puma Fumagalli, che fu decisivo nel finale con il Cittadella). Però il calcio è pieno zeppo di magìe legate a corsi e ricorsi storici, a storie nate dalle ceneri di vecchie emozioni, ricordi, vendette sportive. Sabato è la partita di Patrick Cutrone. E sarebbe bello che potesse giocare almeno uno scampolo di partita. Se lo merita. Così come merita tutto l’affetto della gente che lo accarezza e lo aspetta di nuovo protagonista. Ancora sotto la curva con la maglia numero dieci e il bacio allo stemma.
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