«Fabregas come De Zerbi. È un gioco che mi ha incantato»

Il difensore del Como Goldaniga: «Non dobbiamo più prendere gol. E sfruttare meglio le occasioni create»

Un suo gol, segnato in extremis contro il Cittadella, fu tra i passi decisivi l’anno scorso per la conquista della serie A. Oggi Edoardo Goldaniga in questo Como di decisivo può sicuramente portare il suo parere e la sua esperienza su un argomento che conosce molto bene. La lotta nella parte bassa della classifica in serie A. Ci è passato tante volte, da Palermo a Sassuolo, da Frosinone a Genoa e Cagliari. E la sua convinzione sulle capacità del Como, dunque, non è solo una sensazione.

Buongiorno Edoardo. Che momento state vivendo dopo l’ennesima delusione di Genova? Ancora arrabbiati?

Beh, la rabbia c’è. E non solo per Genova. Tante partite dominate, tanto bel gioco, e troppi punti in meno di quelli che avremmo meritato...

Come ve lo spiegate?

Preferirei non parlare di sfortuna. Perché anche quella fa parte del gioco, e bisogna essere capaci di portarla dalla propria parte. Noi possiamo farlo mettendoci ancora più attenzione, più cinismo. Non dobbiamo più prendere gol, c’è poco da dire. E dobbiamo sfruttare meglio le occasioni che creiamo.

E questo è chiaro. Ma da dentro, dall’interno della squadra, su cosa state lavorando maggiormente?

Sull’attenzione, sulla precisione. Perché i dati che analizziamo davvero disegnano una squadra che non può stare in questa posizione di classifica, assolutamente.

Facciamo un esempio?

Certo, i dati che si riferiscono al possesso palla, al dominio sul campo, ma anche al numero di occasioni concesse e quelle create. Il calcio non è solo questione di numeri, lo sappiamo. Ma i fatti sono fatti, e sono dalla nostra parte.

Anche in base alla tua esperienza, questo è il modo giusto di giocare per salvarsi?

Assolutamente sì, ne sono convintissimo. Proporre gioco è la strada più giusta, quella che veramente può portare al risultato. Solo facendo così si possono limitare gli avversari. Io aspettavo da anni di trovare un allenatore che giocasse con questa filosofia, così propositivo, così moderno, e sono felicissimo di averlo trovato. Chi era quello prima di lui? De Zerbi, un innovatore. Come innovatore lo è sicuramente Fabregas. Io sono proprio innamorato di questo tipo di gioco.

Comporta qualche difficoltà in più per voi difensori?

A volte sì, qualche rischio in più può esserci. Ma ci insegna anche a essere tutti più aggressivi e più forti.

A proposito di Fabregas, tu sei uno di quelli che l’hanno visto nascere come allenatore. C’è già qualche differenza rispetto all’anno scorso?

Lui allena da poco, ma è come se fosse allenatore da tantissimi anni, e secondo me farà una grande carriera anche in questo ruolo. La sua forza è soprattutto la capacità di trasmettere quella mentalità vincente che lo ha portato a grandissimi livelli da calciatore. I suoi concetti sono molto chiari, e molto convincenti, per tutti noi.

La grande attenzione che c’è stata e tuttora c’è intorno a lui e più in generale intorno al Como alza inevitabilmente le aspettative. Voi come vivete questo aspetto? Vi stimola o può in qualche modo disturbare?

Del Como si sta parlando bene dappertutto, questo per noi non può che essere stimolante, assolutamente. Giocare qui è un orgoglio, Una responsabilità che fa piacere e dà ancora più forza.

Caratterialmente la squadra a che punto è? Lo stesso Fabregas diceva che la costruzione della solidità del gruppo per forza di cose è stata un po’ meno immediata dell’anno scorso.

Beh, sono arrivati tanti giocatori nuovi, parliamo lingue diverse, ma come succedeva l’anno scorso chi era già qui ha accolto sempre tutti nel migliore dei modi. Siamo già una famiglia molto legata dagli stessi valori. E in più sono arrivate altre personalità forti, che sanno trascinare tutti nella stessa direzione. Dal punto di vista della grinta si può ancora migliorare, ma questa squadra carattere ne ha.

Insomma, mancano solo i risultati.

La partita che ci ha fatto arrabbiare più di tutte è stata sicuramente quella di Genova, oltre a quella di Torino. Quelle due sono il rammarico più grande. Ma dobbiamo anche sentirci tutti responsabili per come sono andate le cose. E trasformare quella rabbia in insegnamenti a non ripetere quegli errori. Non si deve far segnare un avversario nella sua unica occasione... Per il resto direi che abbiamo sbagliato solo la partita di Empoli, l’unica in cui non siamo riusciti a giocare come sappiamo. Perché in fondo anche con la Lazio abbiamo avuto occasioni, con il limite di non averle sfruttate.

Questa sosta può servire? Anche perché poi ci sarà un ciclo duro, e importante per la classifica.

Stiamo lavorando bene, ora dipende da noi saper correggere gli errori visto che sappiamo quali sono. E avere le idee chiare aiuta. Dobbiamo assolutamente raccogliere più punti possibili, specie con le squadre che stanno sul fondo.

Rispetto ad altri anni, la lotta da metà in giù stavolta com’è?

La corsa nella parte basse è sempre un punto di domanda. È vero, sinora quest’anno non ci sono squadre già staccate, siamo in tantissimi tutti lì vicini. E sarà una lotta dura fino alla fine. Ma nessuno di noi è preoccupato, perché siamo in grado di affrontare ogni gara con l’idea di volerla vincere. Ed è il sistema giusto.

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