Gandler: «Immaginavo tutto, non così in fretta»

L’intervista all’ex Ceo del Como: cominciò tutto con lui in serie D

Per mesi ci siamo aggrappati a lui come ci si aggrappa a un’utopia. Progettava, disegnava, immaginava, fantasticava di stadio pieno, di negozi di merchandising, di code di turisti per comprare magliette o berrettini, o solo per vedere lo stadio.

E mentre lo diceva, si staccavano pezzi di intonaco dal soffitto della sede,proprio lì dove oggi è stata creata una sala di gala; le infiltrazioni d’acqua creavano pozzanghere sul pianerottolo dove oggi c’è un elegante tappeto siriano; gli spalti erano un’area dismessa e il campo era spelacchiato. Insomma, veniva voglia di dirgli: «Ma ci faccia il piacere!!!».

Ceo

Lui è Michael Gandler, manager americano cui venne affidato il compito di aprire la bottega Como, quando ancora Suwarso veniva molto raramente, e tutto era una landa desolata. La sua serietà, la sua eleganza, erano state le uniche garanzie nel parlare con gli interlocutori e con i cittadini.

Tre anni dopo il suo divorzio dal Como, è tornato al Sinigaglia e ha visto come la sua opera è stata completata, da Suwarso e dai due Ceo che lo hanno seguito nel compito: Dennis Wise e Francesco Terrazzani. Oltre al dg Charlie Ludi, uomo a tutto campo. Che lo ha premiato prima di Como-Verona.

Deve essere stato emozionante per lui vedere la fine (che poi è un inizio) della storia. «Davvero. Emozionante. Sul campo mi mancavano le parole. Non mi succede spesso».

Infatti ha detto che era una sorpresa vedere tutta quella gente, e invece non era vero perché lo aveva anticipato. «Ok. Sapevo che sarebbe successo, ma cosa c’entra? Arrivare qui e vedere che tutto quello che ci eravamo detti, l’obiettivo per cui avevamo lavorato, il sogno per il quale lavoravo ogni giorno, con tutti i fantastici colleghi degli uffici, è diventato realtà, è stato emozionante. Quando ero andato via, il campo era spelacchiato e non c’era molta gente allo stadio. Venire qui, con una giornata di sole che illuminava tutta quella gente è stato commovente».

E la gente non si è dimenticata di lui: l’applauso è stato sincero, pieno di gratitudine: «Accidenti. E chi se lo aspettava? Di solito si applaudono i giocatori e gli allenatori, al limite chi fa gli acquisti di mercato. Chi lavora dietro le quinte spesso è dimenticato. Mi ha colpito vedere che la gente non si è dimenticata di me, è stato come rendersi conto di far parte, anche se in minima parte, di questa storia».

Serie A e stadio pieno in cinque anni. Poteva aspettarselo? «Conosco bene la società, so che ci sarebbero arrivati. Su questo non avevo dubbi. Ma hanno fatto più in fretta di quanto mi aspettassi. Nel calcio avere soldi non è tutto, servono idee e loro ne hanno avute».

Futuro

Staranno qui a lungo? «I loro progetti non hanno una data di scadenza, sono orientati a generare business e a creare qualcosa di attivo, vivo. Il grande lavoro sulle infrastrutture (c’ero ancora io quando la società acquistò Mozzate), quello sui negozi in centro, tutta la attività collaterale spiegano la profondità del progetto».

Stadio

Adesso manca solo una cosa: lo stadio: «Sarà il prossimo step. Ne hanno parlato sin da subito. Mi pare di capire che l’amministrazione comunale sia favorevole, in questo si è fatto un passo avanti importante».

Dunque c’è ottimismo? «L’ottimismo è una condizione soggettiva che non porta a nulla. C’è realismo, volontà di raggiungere l’obiettivo, concentrazione sul tema e su tutte le componenti». L’ha premiato Ludi: «Sono stato contento di vederlo, è uno che lavora con il cuore».

Tornerà? «Ora abito a New York, un po’ lontano. Ma capiterà... Un ciao e un grazie alla gente di Como. Ha saputo aspettare».

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