«Gege nato a Como, i social del Lecce. È la mia sfida, ma...»

Notaristefano, doppio ex della partita di sabato: «Dopo l’esperienza in Cina, io lontano dal calcio italiano. Non la guarderò»

«No, non la guarderò...». Egidio Notaristefano, una delle stelline del Como Anni Ottanta, piccola bandera azzurra degli Anni di A, doppio ex di Como-Lecce, non sarà allo stadio e tantomeno guarderà la partita in tv. Anche se, come ammette senza problemi «Como e Lecce continuano ad essere una parte importantissima della mia vita, due posti indimenticabili». Ma il fatto è che Egidio Notaristefano, detto Gege, con il calcio italiano ha rotto ogni contatto. Forse deluso da una carriera promettente da allenatore che poi non è decollata come si pensava, forse per via dell’esperienza da vice allenatore in Cina che ha significato un taglio netto con il pallone nostro. Chissà... Fatto sta che i patti per questa intervista erano chiari.

Gege, ti va di fare due chiacchiere su Como-Lecce?

Certo, ma solo se non mi chiedete cose tecniche o giudizi sull’attualità. Mi ha chiamato anche una radio di Lecce per Lecce-Bologna, altra sfida in cui sono doppio ex. Ma ho detto: non vedo una partita italiana da tre-quattro anni, non conosco i giocatori, scusate ma non vi posso essere utile.

Noi invece non rinunciamo. Ma perché questo distacco?

Quando sono tornato dall’esperienza in Cina, nel 2018, ho avuto qualche chiamata dalla Lega Pro, ma non era stata invitante. E poi, non vorrei essere presuntuoso, ma il livello tecnico si è abbassato, in molti campi della terza serie non è più calcio, è lotta per la sopravvivenza. Continuo a guardare calcio, ma solo estero, specie quello inglese.

Va beh, saprai però del Como...

So che è arrivata una proprietà molto ricca che fa le cose per bene e sta scrivendo una storia importante, che potrebbe fa assomigliare questo periodo a quello che ho vissuto io. Potrebbe...

In che senso?

Capisco i paragoni, capisco la gioia, anche mia perché il Como è nel mio cuore figuriamoci, ma davvero per me è difficile paragonare quel periodo a questo. Due promozioni ed esperienze in A nate e cresciute su presupposti diversi, troppo diversi. Davvero difficile fare paragoni.

Como-Lecce è la tua partita.

Como è stato il posto più importante della mia adolescenza e della mia gioventù. Ho fatto il settore giovanile, poi sette anni in prima squadra. Lecce è stato il posto più importante per me diventato uomo, quattro anni splendidi.

Sei arrivato qui a 12 anni.

Sì, nei Giovanissimi. Giocavo terzino. Finché un giorno Tosetti ha chiamato Rustignoli e Favini (erano i tre gru del settore giovanile azzurro che partoriva campioncini) e disse loro: “Avete visto come interpreta il ruolo Gege? Per me va spostato regista”. E da lì ho cambiato ruolo. Anche se...

Anche se?

Bianchi quando mi ha fatto esordire in A, nel 1984-85, mi ha fatto giocare sei o sette partite da terzino, con il 3 sulla schiena. Poi mi ha spostato in mezzo, tra l’altro in una partita, contro l’Atalanta, in cui giocai malissimo. Ma da lì non mi spostai più.

Per i tifosi di quella generazione, il numero 10 del Como aveva due facce, quella di Notaristefano e quella di Matteoli.

Eravamo due giocatori diversi. Io ero un play alla Pirlo che poi magari galoppava verso il limite, ma comunque un regista. Teo era più una mezza punta, re del dribbling. Gran giocatore.

Due anni con una decina di presenze, poi nel 1986-87 e nel 1987-88 titolare fisso con Mondonico e Burgnich.

Mi sono trovato bene con tutti gli allenatori, anche con Marchesi era stato molto bello. Mi ricordo il primo gol che segnai a San Siro contro l’Inter, io che da ragazzino ero interista, con tutta la famiglia allo stadio, è stata una partita indimenticabile. Era il 1985-86. Cominciavo a farmi spazio. E alla fine di quell’anno fui protagonista dei quarti e semifinali di Coppa Italia contro Verona e Samp, gol e assist. Mentre nella partita con la Juve sotto la neve ero in panchina. Anche se voi de La Provincia mi chiamaste per una simpatica rievocazione palleggiando sul campo del Sinigaglia innevato, 20 anni dopo. Cioè 20 anni fa...

Poi l’infortunio...

Coppa Italia 1988-89. Avevo rinunciato alle vacanze per allenarmi, ero partito a mille, tre gol in Coppa Italia, poi, sempre in Coppa, la partita con il Brescia in casa: infortunio al ginocchio. Stop. Se oggi ci vogliono sei mesi, allora ce ne vollero nove-dieci per rivedermi in campo, nelle ultime partite. Il Como retrocedette, io rimasi, ma alle prime partite dell’anno successivo non andavo, sembravo uno in Vespa contro gli altri sulle maximoto. Poi ho recuperato, ma è stata una stagione disgraziata lo stesso, con la retrocessione in C. E me ne andai al Bologna.

Sfumò anche il passaggio alla Juve.

So che c’era tanta gente che mi voleva, si parlò della Juve, ma quell’infortunio rovinò tutto.

Poi i quattro anni a Lecce.

Meravigliosi. Indimenticabili, con la promozione in A, allenatore Bolchi e un gruppo fantastico che ancora oggi ha un gruppo whatsapp. E poi facevo la seconda punta, con Baldieri o Rizzolo, mi sono divertito moltissimo. Non mi hanno dimenticato. Ne vuoi sapere una bella?

Prego.

Da anni ho chiuso i social, ma prima di chiudere, mi arrivavano continue richieste di amicizia da ragazzini di 13-14 anni. E io chiedevo a loro come facessero a conoscermi. Mi rispondevano che i loro papà tramandavano sempre gli eroi del Lecce passato. Il calcio lì è una cosa seria.

A Como e a Lecce da ex, sempre belle accoglienze.

Ho sempre avuto un pizzico di emozione, naturale. A Como mi regalarono una sciarpa, a Lecce una maglia. Bello essere ricordati.

Da allenatore cosa è successo?

Ero andato benino, al Legnano e alla Spal, 4-3-3, ma cambiavo anche. Poi qualcosa si è inceppato. L’esperienza in Cina è stata pazzesca, per tre mesi ogni giorno volevo prendere l’aereo e tornare a casa. Ma poi mi sono abituato ed è stato molto bello. Se la società non avesse avuto problemi, forse sarei ancora lì.

A Como vieni spesso?

Ho degli amici, come il figlio di Rustignoli e Toio Ceriani. Loro mi tengono infornato sul Como. Vengo con la famiglia a fare due passi sul lungolago, una città bellissima. Che ha significato tanto per me.

E che ti ha dato anche il soprannome...

Sì, cominciarono a chiamarmi Gege i ragazzi del settore giovanile. E per tutti sono sempre stato solo Gege.

Come -Lecce, nulla allora?

No, non la guarderò.

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